Il giusto stop agli aerei delle Ong che hanno sempre ignorato le più banali regole del volo
Operazioni di ricerca e salvataggio non coordinate, ENAC intima l’alt alle flotte delle Ong che hanno molto spesso operato al di fuori delle regole
Operazioni di ricerca e salvataggio non coordinate, ENAC intima l’alt alle flotte delle Ong
Nessuna persecuzione alle Ong e, a ben guardare, neppure una mossa contro la migrazione incontrollata. Con una precisa comunicazione apparsa nella giornata di ieri, 8 maggio, l’Ente Nazionale Aviazione Civile (Enac) ha nuovamente vietato le operazioni di ricerca e salvataggio eseguite degli aeroplani delle Ong che volano nel Mediterraneo, ovviamente se ciò avviene dagli aeroporti nazionali interessati, che poi sono quelli siciliani come Catania, Palermo, Comiso, Trapani Birgi e quelli insulari di Lampedusa e Pantelleria. Il provvedimento, simile a quello emesso nel 2019 durante il governo Conte, è stato pubblicato sul sito web dell’ente e specifica la natura dei voli delle Ong come operati per scopi di ricerca e salvataggio (Sar) con piloti e aeromobili civili invece che da quelli appartenenti alle forze armate e alle organizzazioni istituzionali deputate a farlo. Naturalmente il divieto dell’Enac riguarda soltanto lo spazio aereo nazionale e specifica: Il Soggetto istituzionale titolato ad intervenire e coordinare l’attività Sar, tramite il Rescue Coordination Center (Rcc) o i Rescue Sub Centre designati (Rsc), è il Comando Generale della Guardia Costiera, abilitata al compimento di operazioni di ricerca e soccorso con l'impiego di unità proprie o, anche, avvalendosi di unità militari di altri Corpi, purché operino nell'alveo delle Convenzioni internazionali.
La normativa applicabile è complessa, regolata dall’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile (Icao) fino al Ministero delle infrastrutture e delle mobilità sostenibili, passando per quanto prevede la Convenzione di Amburgo del 1979 ed entrata in vigore nel 1985, quindi aggiornata proprio con la pubblicazione del documento Sar dell’Icao chiamato “Manuale internazionale di ricerca e soccorso aero marittimo”, in sigla Iamsar, considerato nell’estensione del decreto n° 45 del 4 febbraio 2021 che disciplina il Piano Sar attribuendone appunto il coordinamento alla Guardia Costiera nazionale.
Leggi a parte, il problema nasce proprio da segnalazioni della Guardia Costiera poiché la presenza non coordinata (alle volte neppure segnalata) di altri velivoli può effettivamente costituire un problema di sicurezza sia per i mezzi aerei deputati a fare le ricerche e per i loro equipaggi, sia favorire un aumento incontrollato delle operazioni di recupero da parte dei mezzi navali, arrivando persino a peggiorare la situazione dei naufraghi. È evidente che sapendo della possibilità di essere avvistati, gli scafisti possano sfruttare l’occasione per incrementare il traffico di esseri umani.
In caso di violazioni il Codice della Navigazione prevede diverse sanzioni fino al fermo amministrativo dell’aeromobile. A questo punto una Ong come Sea Watch, che opera un bimotore Beechcraft 58 Baron della Humanitarian Pilots Initiative Foundation con registrazione svizzera HB-GMN (massimo 6 posti, tipicamente 5 persone a bordo tra pilota e osservatori), e un monomotore Cirrus Sr (HB-KMM), se vuole continuare a volare con i suoi “Sea-Bird” e “Moon-Bird” dovrà spostare la sua base operativa da Lampedusa a un aeroporto che non sia sotto la giurisdizione di Enac e, soprattutto, stare fuori dallo spazio aereo italiano quando pattuglia il mare. L’organizzazione tedesca Sea Watch ha però fatto sapere che non intende fermare i voli e già nella giornata di mercoledì 8 maggio ha effettuato una missione “sfidando” Enac, e altrettanto sono decise a fare altre Ong come Sos Humanity. E ciò inevitabilmente comporterà una sanzione da parte di Enac ai titolari o agli esercenti degli aeromobili. Dalla vicenda si possono trarre alcune considerazioni. La prima è che le Ong hanno la convinzione di essere al di sopra delle leggi che disciplinano le missioni di ricerca e salvataggio, andando oltre il dovere di salvaguardia della vita umana in mare, anche in considerazione che chi provoca i naufragi lo fa volontariamente, e questo è un reato. La seconda è che le capacità operative degli aeroplani utilizzati dalle Ong (solitamente mono e bimotori a pistoni, comunque aeromobili leggeri), sono effettivamente limitate e si rischia di far decollare altri aeromobili per andare a cercare chi a sua volta cercava i migranti. Anche perché capita, durante le missioni, che la traccia dell’aeroplano sia eliminata per non farne conoscere rotta e posizione, con tutti i rischi connessi qualora in volo nella stessa zona ci fossero aeroplani, elicotteri o droni di forze titolate a compiere quelle operazioni.