Perché serve un «diritto alla disconnessione»
L’Australia è solo l'ultimo dei Paesi a introdurre un diritto in difesa dei lavoratori e della loro produttività. Ma staccare la spinta e non lasciare che il lavoro interferisca con la propria vita privata è una necessità che, con l'aumento del lavoro da remoto, oggi va regolamentata
Con l'entrata in vigore in Australia della legge che sancisce la possibilità per i lavoratori di non rispondere a chiamate, email e altre forme di messaggi fuori dall'orario di ufficio, torna alla ribalta il diritto alla disconnessione. Che già dal nome fa intuire come computer portatili e smartphone siano diventati centrali per il lavoro, grazie anche alla diffusione di modelli concepiti proprio per lavorare in mobilità. La norma a tutela dei dipendenti si sta diffondendo in sempre più Paesi, poiché l'impennata dello smart working durante la pandemia ha costretto a trovare una soluzione per rimediare a un flusso lavorativo senza soste. Lavorare in casa o in mobilità è comodo, a patto di non travalicare l'accordo stabilito tra datore di lavoro e dipendente. Ed è proprio su questo legame che è incentrato il dibattito e le norme introdotte per stabilire limiti alla disponibilità e all'operatività dei lavoratori. Pena insonnia e burnout, cioè una forma di esaurimento psicofisico, che sono le principali conseguenze di chi non si stacca mai dai dispositivi digitali.
La scelta dell'Australia è un esempio di come sia al momento complesso trovare un punto di equilibrio che accontenti tutti. La norma consente ai lavoratori il diritto di “rifiutare, leggere, monitorare o rispondere a contatti del datore di lavoro oltre l'orario di ufficio”. Vale per i dipendenti pubblici e più avanti varrà per tutti coloro che lavorano nelle piccole imprese, cioè la fetta più ampia dei lavoratori australiani. Il diritto alla disconnessione è quindi una forma difensiva contro eventuali provvedimenti disciplinari per aver ignorato l'eventuale richiesta dei superiori, anche se c'è una postilla che specifica come il diritto a rifiutare la connessione non valga se la mancata risposta sia irragionevole. Una versione interpretabile, che apre diverse opzioni, in quanto vanno considerate l'urgenza del motivo, il metodo e la posizione nella gerarchia interna del contatto, oltre all'eventuale retribuzione del lavoratore per il lavoro straordinario che è chiamato a svolgere.
Sembra probabile che nel tempo e a fronte di casi concreti, la norma verrà resa più chiara. Tuttavia va tenuto a mente che lo scopo del diritto alla disconnessione sia far comprendere (non solo ai datori di lavoro) che sul medio-lungo periodo l'eccessiva disponibilità del lavoratore tende a ridurre la sua produttività. Per questo motivo tanti Paesi hanno già inserito la norma all'interno del proprio ordinamento. Dopo la Francia, che nel 2017 ha fatto da apripista con una multa ad un'azienda colpevole di aver imposto a un suo dipendente di dover lasciare acceso il telefono sempre per essere raggiungibile 24 ore su 24, solo in Europa il diritto alla disconnessione è stato introdotto in Belgio, Germania, Spagna, Grecia, Irlanda, Portogallo, Slovacchia e Italia. Da noi c'è l'articolo 19 della legge 81/2017 sul lavoro flessibile, secondo cui “i tempi di riposo del lavoratore, nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. Mentre a regolamentare il lavoro agile è l'articolo 2 della legge 61/2021, nella quale è specificato che “è riconosciuto al lavoratore che svolge l'attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati”. Con un'aggiunta importante: “L'esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”.