Ecco il nuovo velivolo delle Frecce Tricolori
(Aeronautica Militare)
Tecnologia

Ecco il nuovo velivolo delle Frecce Tricolori

Presentato oggi, sarà lo M346 di Leonardo, addestratore avanzato dalla storia romantica e (quasi) dimenticata.

Sarà sostituito dopo 42 anni di servizio lo MB339PAN delle Frecce Tricolori, aeroplano firmato dall'ingegner Ermanno Bazzocchi e considerato un'icona dell'aviazione. Per dare l'idea di quanto sia una scelta importante per la comunità aeronautica e l'industria italiana accettate un paragone: è come se dopo tutti quei decenni arrivasse la nuova Ferrari di Formula 1 o, se preferite, è come il cambio di tutti i giocatori della nazionale di calcio, incluso l'allenatore, ma in una sola volta.

Dopo il rientro in Italia della Pattuglia dal Nat '24, il tour in America del nord che ha visto le nostre Frecce esibirsi in Canada e Stati Uniti, il 12 settembre presso la base di Istrana (Treviso), è stata organizzata una festa per celebrare il successo della missione ed è stato svelato il nuovo velivolo, che sarà il Leonardo M346, l'addestratore di punta della nostra produzione nazionale. Dopo circa un anno di lavoro da parte dei collaudatori di Leonardo per sviluppare la variante destinata al 313° Gruppo di addestramento acrobatico (il nome ufficiale del reparto), seguendo precise esigenze dell'Aeronautica Militare, e da tempo accantonata l'idea iniziale di dotare le Frecce del “fratello minore” M345, ecco che quasi mezzo secolo dopo l'ultimo avvicendamento cambierà la flotta della Pattuglia acrobatica nazionale. Che non è soltanto spettacolo e patriottismo, ma anche rappresentanza della produzione nazionale all'estero, e da qui l'esigenza di avere un velivolo che sia più italiano possibile. L'aviazione, infatti, nasce globalizzata per definizione e anche il “339” ha, per esempio, il motore inglese. Sarà quindi un passaggio epocale che giocoforza comporterà un cambio del programma acrobatico, che ora dovrà sfruttare le maggiori prestazioni, l'autonomia, la quota, i comandi computerizzati laddove il “339” li aveva manuali, e potrà contare su maggiore sicurezza perché bimotore, di un'elettronica che aiuta pilotaggio e manutenzione, ma anche un aeroplano che può essere rischierato e rifornito con maggiore facilità, nonché dotato di impianto per il rifornimento in volo. Ci vorrà ancora tempo – si parla del 2028 – e ancora non è stato dichiarato il numero di unità che costituiranno la nuova formazione, oggi composta da dieci aeroplani, la più numerosa al mondo. Di fatto se il “Macchino”, come viene chiamato lo MB339, resterà nel cuore di tutti come lo è ancor oggi il suo predecessore, il Fiat G91 (la G sta per Giuseppe Gabrielli, un altro grande progettista), lo M346 è il biglietto da visita di Leonardo Velivoli nel mondo, perché considerato tra i più avanzati aeroplani da addestramento sul mercato, già venduto in 126 esemplari a diverse forze aeree, in dotazione alla scuola International Flight Training School di Decimomannu, Sardegna, aereo che oggi ha raggiunto un monte ore operativo di 125.000 maturato in Italia ma anche a Singapore, Israele, Polonia, Qatar, Grecia e prossimamente Turkmenistan e Nigeria. Certo, ha un'aerodinamica nata per addestrare piloti degli anni Novanta e Duemila, che hanno esigenze differenti d quelli a cui era destinato il “339” all'inizio degli anni Ottanta, ha un'ala a freccia che implicherà creare una sequenza di manovre differente da quelle attuali, ma in questo contiamo sulla fantasia dei nostri piloti, che sempre sono riusciti a distinguersi dalle altre pattuglie acrobatiche per dare alle esibizioni ritmo e spettacolo.

La livrea con la quale è stato presentato è stata realizzata da Pininifarina, non ha incantato, ma l'azienda ha affrontato una sfida grafica difficile, viste le forme complesse dell'aereo, e c'è la possibilità che non sia quella definitiva.

C'è di più, la storia dello M346 arriva da lontano, precisamente dalla dissoluzione dell'Urss, quando il rublo era una moneta quasi senza più valore. Per l'aeroplano, nato nel 1991 come Yak-130 e costruito da Sokol a Niznhy Novgorod e da Yakovlev a Samara – disegnato a matita, altro che computer - non si trovavano i fondi necessari allo sviluppo, così Aleksander “Sacha” Dondukov, capo del bureau di progettazione Okb-115 Yakovlev, pensò di offrirlo all'estero per occidentalizzarlo e poterlo produrre e vendere. Fu un giornalista italiano di rientro da Mosca a vedere per primo il progetto e a mettere in contatto le industrie russa e italiana: dapprima ci fu un “accordo personale” tra dirigenti, quindi arrivarono i necessari accordi governativi, un primo pagamento di soli 8,5 milioni di dollari (nulla per un aeroplano militare), e prese il via a una sfida tecnologica mai tentata prima. Aermacchi nel 1993 diede forma, e quindi firma, al programma Yak-Aem 130. La successiva presentazione congiunta Yakovlev-Aermacchi fu al salone di LeBourget del 1995 e l'aereo fu oggetto del primo accordo tecnico e commerciale tra un'industria aeronautica di un Paese Nato e una dell'ex Urss, per un velivolo che addestrava i piloti potendo cambiare le sue caratteristiche di volo (limiti dell'inviluppo) a seconda delle esigenze di missione, in pratica una piccola rivoluzione. Il primo volo avvenne il 25 aprile 1996 ma l'accordo non durò a lungo, le differenze nei metodi di progettazione e nelle scelte tecniche pesarono fino a rendere impossibile proseguire, così le due aziende decisero di separarsi e lavorare allo sviluppo in modo indipendente. Yakovlev impiegò dieci anni per portare l'aeroplano a compimento e dotarne l'aviazione russa che lo ricevette nel 2006, mentre Aermacchi, oggi Leonardo, ne fece un aeroplano italiano a cominciare dal sostituire i motori Klimov / Ivchenko Progress con gli attuali Honeywell, ripensare la strumentazione di bordo, installare un moderno radar e alle molte altre componenti che lo rendono ciò che è attualmente, ovvero un velivolo superiore allo Yak-130. E l'Aeronautica Militare italiana ricevette i primi esemplari a partire dal 2010. La storia, degna di un romanzo, è pubblicata nel libro di Giuseppe Sotgiu “Anatomia di un aeroplano”, Utet, 2011.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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