Il dilemma della guida autonoma
Dalle auto agli aerei, tutti vogliono il pilotaggio autonomo. Con un errore diffuso: vendere la novità senza sperimentare a sufficienza
Tutti sono alla ricerca del volo autonomo. I militari in primis, per poter effettuare missioni con rischio inferiore, ma anche le compagnie aeree per risparmiare sugli equipaggi e ridurre, o eliminare, il “fattore umano”, causa della maggioranza degli incidenti. Oggi seguendo la cronaca sembra che quasi ogni settimana ci sia una grande traguardo tecnico da celebrare, un’impresa che ha successo e grazie a quello l’azienda che l’ha realizzato si mette in corsa per ricevere grandi commesse dai governi oppure capitali per produrre e vendere taxi volanti. C’è un però: chi lavora nel settore aerospaziale sa che la fretta produce errori. E che nel secolo dell’infodemia da social network e delle notizie consumate come sigarette, troppe di queste soluzioni pubblicizzate danno priorità all'effetto dell’annuncio stesso piuttosto che alla definizione dei veri fondamenti che permetteranno il volo di macchine autonome. Ma se non costruiremo e adatteremo correttamente il volo autonomo ai tempi e ai modi umani incorreremo in gravi incidenti e impediremo, anche e soprattutto alle forze armate, di dotarsi di queste tecnologie in tempo utile per conservare la supremazia propria che ogni moderno deterrente richiede.
Negli Usa, il Dipartimento della Difesa sta definendo requisiti precisi: l'autonomia, nel senso di pilotaggio con intelligenza artificiale, è il futuro del potere aereo. I militari lo hanno capito dimostrando che massimizzare la resistenza e ottimizzare il tempo di volo dei piloti sarà essenziale nei futuri conflitti. L'Air Force Special Operations Command sta quindi lavorando per utilizzare più velivoli senza pilota nell'ambito del suo concetto Adaptive Airborne Enterprise e, a meno di un anno dall'annuncio del programma di aerei da combattimento senza pilota definiti “collaborativi”, sono già stati assegnati importanti contratti. In Europa programmi come il Neuron di Dassault hanno aperto la strada a quanto si intende fare per i programmi Fcas (Germania, Francia, Spagna) e Gcap (Regno Unito, Italia e Giappone), entrambi con la possibilità di gestire droni collaborativi anche armati.
Gli investimenti nell’autonomia delle macchine (dalle autovetture alle astronavi) negli ultimi anni ha visto un'ondata di investimenti con centinaia di milioni di dollari nello sviluppo di nuove tecnologie. Di conseguenza, il mercato è stato invaso da una miriade di annunci riguardanti soluzioni all'avanguardia sensazionali per attrarre capitali piuttosto che scegliere di aderire a due principi fondamentali della tecnologia. Primo: molte delle funzioni introdotte oggi, seppure promettenti, sono troppo limitate per un uso pratico. Riguardo gli aeromobili d’ogni tipo, esse ignorano le funzionalità di base che si riassumono in “vola, naviga e comunica” necessarie per eseguire una missione o un volo in sicurezza. E se consideriamo le soluzioni pilotate a distanza, la loro efficacia dipende ancora dal collegamento uomo-operatore. Ma questo può essere interrotto dalla guerra elettronica, da malfunzionamenti nelle comunicazioni o persino dal maltempo. Fatto per il quale nessuno ha ancora ricevuto una pizza dalla finestra di casa. In ambienti contesi o degradati, queste limitazioni presentano enormi rischi operativi. Una vera autonomia funzionale richiede sistemi che non hanno bisogno di un essere umano nel loro ciclo e che possono eseguire senza problemi tutte le funzioni di un pilota in modo indipendente.
Se prendiamo in esempio un possibile combattimento aereo, un sistema autonomo veramente efficace dovrebbe essere abbinato a competenze tattiche come saper fare manovre adeguate, per esempio quelle di ricognizione. In un mondo ideale, un costruttore integrerebbe insieme autonomia funzionale e tattica, ma è incredibilmente difficile da fare, forse ancora impossibile. L'interdipendenza tra uomo e macchina è oggi troppo elevata. In secondo luogo, le nuove capacità d’autonomia devono progredire in modo progressivo e collaborativo con il combattente per creare piena fiducia. Le soluzioni autonome non possono essere sviluppate dalle singole aziende e consegnate preconfezionate alle forze armate. Bisogna accettare che prima di saper camminare eretta, ogni persona gattona. E prima di volare impara a camminare. Serviranno migliaia di ore di lavoro congiunto tra aziende e operatori per capire quale strada seguiranno i loro prodotti per divenire operativi. Anche ridurre gli equipaggi degli aeroplani commerciali da due piloti a uno richiede centinaia di fattori per rendere il volo operativamente fattibile e confortevole per il pilota rimanente, ma anche affinché sia sicuro per tutti, che siano a bordo o a terra. E le aziende che saltano queste fasi sprecano risorse e mettono a rischio vite umane. Lo si vede già nel settore automotive, dove possiamo comprare una vettura con guida autonoma che può parcheggiare perfettamente, ma in realtà non può accelerare, frenare o girare correttamente da sola. Quando si ha a che fare con la profonda complessità dei sistemi aerei, stradali e delle vite umane, il gioco diventa pericoloso e nessuna azienda automobilistica lascerebbe che il fascino di consegnare un'auto volante la distragga al punto da non rispettare gli attuali standard di sicurezza dei veicoli terrestri. Così i veicoli autonomi rappresentano un potenziale moltiplicatore di forza che farà pendere la bilancia nei conflitti futuri. Ma quel vantaggio competitivo scompare se tali mezzi subiranno incidenti catastrofici dovuti a corse sconsiderate verso l'autonomia, ignorando l'abilità di pilotaggio e i fattori umani. Che spesso fanno pasticci, ma molte più volte creano la soluzione.