Nuova o usata, l'automobile che serve non c'è più
Prezzi alle stelle (anche nell'usato); consegna in super ritardo mentre l'elettrico annaspa
Le auto usate costano troppo, il loro prezzo è aumentato molto negli ultimi mesi e non sembra che la tendenza si inverta. Qualsiasi portale internet di compravendita sta registrando sia valori economici maggiori per le offerte, sia una progressiva carenza di disponibilità di vetture. Del resto se per avere una macchina nuova oggi servono almeno sei o sette mesi, ecco che per l'automobilista l'idea dell'usato risolverebbe molti problemi. A condizione di trovarle. I motivi del fenomeno sono diversi e generati da un meccanismo complesso: la mancanza di microchip rallenta le produzioni, si allungano i tempi di consegna e, di conseguenza, anche il ritiro dell'usato. Queste ultime vetture, una volta nelle mani dei concessionari, prima di essere rivendute transitano nelle officine, dove però si soffre la lentezza della consegna delle parti e talvolta dei meccanici in quarantena. Così sia le concessionarie ufficiali, sia un numero sempre più elevato di venditori multi marche, i cosiddetti indipendenti, non possono far altro che adattarsi alle richieste del mercato e alzare la redditività delle transazioni vedendo calare il loro numero.
Uno degli effetti diretti della situazione in atto è il quasi azzeramento della differenza di costo tra una vettura nuova e una a chilometri zero, che in molti casi, specialmente per auto ibride dal costo attorno ai 20.000 euro è inferiore ai mille. Ma le “km zero” sono un numero limitato che negli ultimi due anni si è ovviamente ridotto. Si sa, se un prodotto scarseggia il suo prezzo aumenta. Infine ci sono i ricambi, i cui costi sono comunque in salita, e i rallentamenti dovuti dalle procedure anti Covid-19. E siccome il tempo è denaro, ecco che un cambio gomme, un tagliando, oppure una riparazione, diventano più costosi. Come se non bastasse gli eventi climatici estremi accaduti negli Usa tra la fine dell'estate e l'inverno hanno causato danni ad alcuni stabilimenti, costringendo i costruttori a fermare le produzioni o a trasferirle, e l'impatto sul mercato si è visto soltanto alcuni mesi dopo. Per fortuna quest'ultimo è comunque un fenomeno transitorio destinato a scomparire rapidamente.
Ecco dunque perché, rispetto a un anno fa, un'autovettura usata costa mediamente il 15% in più, portando addirittura a vedere automobili usate molto recenti raggiungere il prezzo del nuovo. Soprattutto per quelle che piacciono di più, come i suv, i fuoristrada ingentiliti da dotazioni elettroniche, le auto diesel Euro6 e ibride della prima generazione e le piccole auto definite premium come Mini e Adam.
Mai nella storia dell'automobile si era creata una tale serie di elementi negativi, inclusa la politica green, che in questo caso non aiuta: occorrerebbero incentivi anche al cambio usato su usato se prevede il passaggio a una categoria di emissioni più contenute, e si potrebbe anche favorire l'ammodernamento dei mezzi nati con un propulsore ma che possono installarne facilmente di più puliti. Una sorta di incentivo al retrofit permetterebbe di sfruttare auto già circolanti allungandone la vita, si amplierebbe in questo modo un settore industriale parallelo, oggi ridotto a qualche startup e a casi sporadici più legati alla passione per un modello di auto che alla sua utilità giornaliera. Faccia da esempio l'aviazione, settore nel quale uno stesso aeromobile nel corso della sua vita operativa vede l'installazione di motori appartenenti anche a tre generazioni.
Una politica di buon senso potrebbe anche porre fine alle distorsioni del mercato dettate dalle politiche ecologiste che limitano l'uso di talune categorie inquinanti in aree circoscritte, come le città. Di fatto i divieti producono due fenomeni opposti allo scopo che si prefiggono: il primo è costringere alla sostituzione dell'auto svalutando localmente quella posseduta, il secondo è immettere sulle strade un'altra vettura che comunque, poco o tanto, inquinerà a partire dalla sua costruzione. Le istituzioni europee, oltre ad aver dettato un'agenda rigida e impossibile da realizzare in così poco tempo – come hanno ribadito più volte i numeri uno dei costruttori automotive europei – si sono espresse in grave ritardo su possibili soluzioni transitorie come unire ai motori elettrici comunque piccoli propulsori diesel o a gas, e soprattutto a proposito dei carburanti alternativi che, seppure non possano eliminare del tutto le emissioni, potrebbero comunque ridurle. Soltanto nel dicembre scorso i ministri dei Trasporti della Ue si sono espressi favorevolmente per sostenere le proposte per aumentare la produzione e l'utilizzo di idrocarburi “verdi”, ovvero basati su miscele sintetiche o di derivazione vegetale, e finalmente Bruxelles aveva dichiarato di “ritenerle soluzioni fondamentali nel medio e lungo periodo”. Questa frase è del commissario europeo ai trasporti, la rumena Adina Valean, che ha anche espresso soddisfazione per la condivisione da parte dei ministri della valutazione della Commissione europea sul regolamento dei combustibili alternativi, che però al momento non prevede obiettivi vincolanti. Al contrario, settori come la marina mercantile e l'aviazione stanno già utilizzando miscele di carburanti di questo tipo. Tale apertura, seppure tardiva, consentirebbe al parco circolante possibilità realmente ecologiche, permettendo infatti di continuare a utilizzare veicoli con motori non più moderni, in qualche caso con minime modifiche, rendendoli meno inquinanti. Una via per altro sostenuta da tempo da diversi costruttori giapponesi che l'anno scorso si erano riuniti in un consorzio guidato da Toyota al quale avevano da subito aderito Mazda, Subaru, Kawasaki Heavy Industries e Yamaha.