Alle origini di una rivoluzione
Viaggio nel Cube di Neuchâtel, il laboratorio di ricerca d’eccellenza dove Philip Morris International sviluppa i prodotti innovativi che vogliono cancellare le sigarette
da Neuchâtel
Qui lo raccontano come un tuffo nel vuoto, almeno all’inizio: un primo passo verso l’ignoto che è stato l’inizio di un lungo cammino. Qui è dove un’azienda ha deciso di fare tutt’altro, attrezzarsi per cambiare direzione, per dare le spalle al passato: capire come abbandonare la produzione di sigarette, la sua storica fonte di reddito.
Siamo nel Cube, che il nome lo onora nella forma: è una geometria di vetrate blu affacciate sul lago di Neuchâtel, nell’omonima placida cittadina svizzera a mezz’ora di treno dalla capitale Berna. È il centro di ricerca e sviluppo dove Philip Morris International progetta i prodotti di nuova generazione, incluso Iqos, il dispositivo che scalda il tabacco anziché bruciarlo, capace di raggiungere i 25 milioni di utenti in tutto il mondo, oltre 2,5 milioni soltanto in Italia.
«Ci sono Paesi come il Giappone dove più del 30 per cento dei consumatori sono già passati al tabacco riscaldato. Sono convinto che arriveremo a un punto in cui le sigarette non esisteranno più» prevede e promette Tommaso Di Giovanni, vicepresidente International Communications di PMI, bocconiano con un’esperienza internazionale maturata tra Parigi, Roma, Brasile e New York. Panorama lo incontra in una sala riunioni al piano terra del cubo, un’architettura squadrata con la pulizia maniacale di un laboratorio, il personale che vaga in camice tra i corridoi, le stanze blindate per proteggere esperimenti e prototipi che diventeranno abitudini quotidiane.
Costruito nel 2009, frutto di un investimento pari a 120 milioni di dollari, il Cube rappresenta una piccola fetta dei 9 miliardi spesi dalla multinazionale per scovare vie alternative alle solite bionde. Un’eccezione, un tentativo diventato prassi: oggi, il 99,9 per cento degli investimenti in R&D confluiscono in questo segmento. «Le nostre soluzioni hanno logiche sovrapponibili a quelle degli smartphone. Il campo di applicazione è il medesimo, però la tecnologia continua a evolvere. All’inizio la batteria di Iqos non era molto efficiente, il design e l’ergonomia non erano all’altezza. Andava ripulito perché lasciava residui, aveva una lamina fragile. Oggi è avanzato, efficiente, non definitivo. Ci sono stati e ci saranno miglioramenti» ragiona Di Giovanni. Che ricorda: «Abbiamo più varianti di prodotto su diversi livelli di prezzo, incluse le sigarette elettroniche. L’innovazione non può fermarsi».
Tommaso Di Giovanni, vicepresidente International Communications di PMIPhilip Morris International
A tentare di rallentarla, in realtà, ci sono istituzioni come l’Organizzazione mondiale della sanità o alcuni governi che preferiscono osteggiare qualunque opzione a base di tabacco o nicotina, nonostante ovunque le sigarette siano ancora largamente il prodotto più venduto: «A me piace guardare al bicchiere mezzo pieno. Contrarietà e scetticismo stanno scemando, ci sono nazioni come la Nuova Zelanda, l’Inghilterra, gli Stati Uniti, il Portogallo e la Grecia che hanno adottato legislazioni molto favorevoli verso il principio di riduzione del danno e i prodotti senza combustione». Non certo per ragioni di simpatia: «Non sono solo i nostri studi a sostenerne il rischio ridotto, ma ricerche indipendenti di organizzazioni forti e credibili. Comunque, la scienza appoggiata dall’industria non è di serie b: può essere sempre scrutinata per validarne la qualità. L’Ocse ricorda che l’80 per cento della ricerca viene finanziata dalle aziende, poi la si controlla. Nel settore farmaceutico è la regola».
Le resistenze dipendono allora «da diffidenze storiche, da ideologie proibizioniste e dall’idea che sia possibile indirizzare i comportamenti in modo assoluto. Chi fuma non smette perché non vuole o non riesce. Meglio allora proporgli delle soluzioni migliori, sebbene non perfette». Di Giovanni fa il paragone con le cinture di sicurezza: «Non risolvono interamente i pericoli connessi alla guida, ma è meglio di non averle».
L’obiezione che viene naturale muovere a Philip Morris è perché non stia dando il buon esempio e non abbia già smesso di vendere sigarette, anziché spostare il traguardo a un orizzonte di anni: «Tale decisione ci metterebbe in grave difficoltà senza risolvere il problema di salute pubblica» risponde Di Giovanni. Che argomenta: «Se dovessimo interrompere la commercializzazione delle sigarette dall’oggi al domani, le produrrebbero altri lecitamente o illecitamente, facendo prosperare contrabbando e contraffazione. È sul tipo di domanda che occorre intervenire, con gradualità. Non è soltanto un auspicio: le cose stanno cambiando».
È un percorso iniziato qui al Cube, che passa anche dall’Italia: «Un Paese dove abbiamo investito in modo significativo. Ospita la nostra fabbrica più avanzata al mondo e ci fornisce tabacco di qualità: è tra i Paesi che contribuiscono in maniera più significativa alla realizzazione della nostra visione, supportando un indotto dalle dimensioni notevoli. In Italia troviamo eccellenze tanto dal punto di vista delle persone che delle tecnologie». La stessa unione di teoria e pragmatismo, di pensare e fare, che dalle stanze di un cubo blu come il lago qui di fronte sta trasformando le liturgie di un vecchio rito, dimostrando che un tuffo nel vuoto può essere un salto in avanti.
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