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Minorenni e smartphone tra contenimento e educazione (a scuola e non solo)

Abbiamo intervistato Stefania Garassini, docente di Content Management e Digital Journalism all’Università Cattolica di Milano, per fare chiarezza sui tempi che stiamo vivendo in merito a smartphone, educazione familiare, scuola, potenzialità e rischi

La circolare sul divieto dei cellulari in classe per tutto il primo ciclo è stata la notizia che ha esaurito e fatto superare l’argomento dell’esame di maturità sui giornali e nelle discussioni legate alla scuola. Certo, quando si parla di tecnologia, educazione e provvedimenti in merito, il rischio è sempre quello di prendere una posizione estrema, assumendo le difese della linea ministeriale in nome della nostalgia di una scuola che deve tornare a essere quella di una volta, o al contrario scagliandosi contro questo passatismo che non guarda al presente e al futuro fatto di schermi, IA e nuovi linguaggi, altro che letteratura, latino e antichità.

Per approfondire un tema che non può vivere di estremisti a priori ed è pane quotidiano per tutte le famiglie e presente in ogni aula di ogni scuola italiana, abbiamo intervistato Stefania Garassini, docente di Digital Journalism presso l’Università Cattolica di Milano, e autrice, tra gli altri testi, di “Smartphone. 10 ragioni per non regalarlo alla prima Comunione (e magari neanche alla Cresima)” per Edizioni ARES e promotrice dei Patti Digitali.

Stefania Garassini come ha accolto l’indicazione ministeriale in merito al divieto dei telefoni cellulari nel primo ciclo, anche per scopi didattici?

Come si accoglie una buona notizia, perché si tratta di una posizione che impone di riflettere sull’accelerazione intrapresa a scuola, ma anche in famiglia, sull’anticipazione al primo accesso a uno smartphone da parte di bambine e bambini che ormai, in quarta primaria, ne richiedono uno proprio, o lo ottengono, o se lo trovano tra le mani. La scuola non aveva mai preso una posizione così decisa a riguardo, ma è ora che ritrovi quel ruolo di accompagnamento che può garantire.

Oltre all’uso del telefono, c’è il tema della limitazione dell’uso di agende online, come classroom o i siti dei registri di classe che consentono di tenere nota del lavoro svolto in classe e assegnato per casa…

Si tratta di una polemica sterile. Il registro elettronico è comodo per tutti, e così lo sono i vari strumenti come classroom e le agende online, ma anche in questo caso l’utilizzo non può avvenire inconsapevolmente. Il registro elettronico, ad esempio, presenta almeno due problematiche: in primo luogo deresponsabilizza gli studenti, che non si sentono più in dovere di prendere nota di scadenze, impegni, segnalazioni; in secondo luogo, incide sul rapporto tra genitori e figli nella comunicazione dei voti, perché apprendere dal registro, prima ancora di un momento di dialogo, le valutazioni acquisite al mattino dai propri figli significa fare i conti con uno strumento certamente comodo ma anche invadente e invasivo, capace di entrare nelle dinamiche familiari e alterarle. Sono tutte questioni di cui è bene occuparsi: il dialogo genitori e figli non può essere minato da una app, così come i compiti devono essere assegnati in un lasso di tempo determinato che non porti al controllo compulsivo degli strumenti digitali.

Lo smartphone in mano ai minorenni è la realtà con cui tocca convivere: è il momento di arginare o di educare?

E’ sempre il momento di educare, ma con realismo è bene avere la consapevolezza del fatto che fino a una certa età non è possibile farlo soprattutto se si tratta di strumenti così potenti come gli smartphone, per cui, specie con i più giovani, in questo campo arginare significa educare. Il paragone del neopatentato con l’auto oltremodo potente è sempre valido ed efficace: occorre avvicinarsi con gradualità e consapevolezza agli strumenti di cui si può disporre. Sia chiaro, nell’ambito informatico e tecnologico, l’obiettivo è quello di aprirsi al digitale e non certo di escluderlo come fosse un male a priori, conoscendo interessi, in dialogo con i figli – o studenti che siano – condividendo esperienze, racconti, narrazioni, giochi, fino allo youtuber di turno, che magari non sarebbe il tipo di educatore prescelto dai genitori stessi, ma che non va bandito, se non si vuole essere esclusi da questi momenti di condivisione. Per i più giovani ci sono capacità e competenze tecniche da acquisire, ma anche una maturità umana: per questo è bene che lo smartphone sia un obiettivo dopo una pratica digitale che si consolidi su altri strumenti, necessariamente più condivisi, come il computer di casa, o il tablet. E’ il momento di orientare, educare, accompagnare, aiutare, questo sì, e prima si comincia, meglio è: già quando i bambini sono in età da scuola materna il tema del “tempo schermo” non può essere sottovalutato e le raccomandazione dei pediatri sono chiare su questo.

Dalla sua esperienza decennale, in questi ultimi anni ha deciso di promuovere i “Patti Digitali”: ci spiega brevemente di cosa si tratta e chi può farsene promotore?

L’iniziativa è nata dalla collaborazione di Università Bicocca e tre associazioni attive nel campo dell’educazione consapevole, con l’intento di favorire la nascita di alleanze educative tra genitori per condividere azioni comuni sul mondo digitale, come ad esempio l’accordo di introdurre lo smartphone personale non prima della seconda media e altre possibili regole, dalla buona norma di non usare in autonomia tablet e computer in cameretta, al divieto di accesso allo smartphone durante i pasti. E’ un tentativo di impegnare una comunità educante – che può essere una classe, un’intera scuola, un oratorio, una realtà sportiva – a formarsi per accompagnare nel mondo del digitale, dandosi qualche regola condivisa e alla scoperta di un serie di norme già previste, come le età stabilite per alcuni videogiochi, app e social. A oggi ci sono un centinaio di patti attivi o in attivazione, le richieste sono molte e tutto è consultabile al sito pattidigitali.it

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Marcello Bramati