In Italia piange il telefono, ma se ne può uscire così
Puntare sul 5G, allineandosi agli standard delle telecomunicazioni europee; imporre ai colossi dello streaming di contribuire a reti più potenti; diversificare l’offerta, allargandola al mercato dell’energia e delle assicurazioni. La ricetta di Gianluca Corti, Co-ceo di Windtre.
Come analisi, è chirurgica quanto preoccupata: «In Italia, il settore delle telecomunicazioni non se la passa bene, anzi sta proprio male. È un peccato e un paradosso, perché la domanda di dati è raddoppiata negli ultimi tre anni e lo smartphone è l’oggetto da cui nessuno riesce a separarsi per più di qualche ora».
La diagnosi arriva da chi legge il presente con la consapevolezza del passato. E sceglie di parlare con schiettezza: «Era un settore ricco, fin troppo. Quando ha cominciato a zoppicare, a perdere terreno, nessuno ci ha creduto. Siamo precipitati in una situazione critica» spiega Gianluca Corti, Co-ceo di WINDTRE, una carriera da nomade nello stesso ambito: ha lavorato per i principali pezzi grossi del comparto, da Tim a Tiscali e Vodafone, anche all’estero, fino in Canada. Da 25 anni, la telefonia mobile è il suo pane quotidiano.
Corti, come si è passati dalle stelle alla crisi, nonostante l’indiscutibile bisogno di connettività?
È dipeso da errori dell’industria e da scelte normative del tutto fallimentari, a partire da quelle imposte dall’Unione Europea, che si è messa a fare l’ultrà dei consumatori.
Ci aiuti a ricordare.
Nel Vecchio Continente si concentravano i più grandi operatori e produttori di reti del mondo. Poi, Bruxelles ha deciso che per diffondere internet fosse necessario spingere sulla concorrenza e mettere gli utenti nella condizione di pagare pochissimo. Le Telco europee sono ora in difficoltà e importanti produttori di apparati di rete sono spariti.
Le intenzioni erano buone.
Non hanno funzionato: la penetrazione di Internet nell’Ue oggi è superiore solo all’Africa, gli operatori nordamericani, dove le tariffe sono da quattro a sette volte le nostre, hanno prosperato e oggi sono i giganti che un tempo eravamo noi in Europa.
Messa così, è la cronaca di un disastro. Quali sono gli effetti pratici sul nostro territorio?
Cito giusto un elemento: un gigabyte, in Italia, ha il prezzo più basso al mondo dopo Israele. Tutto aumenta, dalle auto alla spesa, ma un abbonamento con dati illimitati continua a costare come un caffè ogni tre o quattro giorni. E se tocchiamo le tariffe, parte una rivolta dei consumatori. Senza investimenti rischiamo la saturazione della rete 4G e quindi un servizio deludente, in cui lo streaming non funziona quasi mai. Ci toccheranno lunghe attese a guardare una rotellina che gira.
Sta dicendo che per guarire le telco toccherà pagare di più?
Niente affatto. L’offerta si può segmentare in base alla qualità, modulandola tra il premium e il low cost. Tra chi desidera l’eccellenza e chi si accontenta del giusto. Non vogliamo risparmiare, né tagliare, ma investire in infrastrutture col giusto ritorno.
E chi ve lo impedisce?
C’è un’altra anomalia. Oltre all’eccesso di concorrenza, i limiti elettromagnetici in Italia sono i più bassi d’Europa, siamo a un decimo rispetto alla regola generale nell’Ue. Significa fermare, anche in aree cruciali per il Paese, lo sviluppo del 5G. Una tecnologia che all’estero garantisce la futura competitività delle imprese, la telemedicina e vari servizi evoluti. Anche Antitrust e Agcom hanno confermato che da noi c’è un eccesso di prudenza.
Non sarà che sdoganare il 5G non attira simpatie elettorali?
Abbiamo condotto ricerche, ci dicono che spaventa una percentuale straordinariamente piccola, che ha il diritto di essere adeguatamente informata. Non dobbiamo sovrastimare una minoranza rumorosa. Comunque, sono ottimista, il Governo ha già fatto manovre ben più coraggiose e penso che farà la scelta giusta per la competitività del Paese.
Gianluca Corti è Co-ceo di Windtre dal marzo del 2022. È un manager di grande esperienza nel mondo delle telecomunicazioni, avendo ricoperto ruoli di rilievo in alcune tra le principali aziende del settore, anche all’estero.
Andiamo fino in fondo. Altri sassolini nella scarpa?
L’atteggiamento dei colossi dello streaming, i famosi «over the top». Il loro traffico, sulle nostre reti, vale ormai circa il 60 per cento. Hanno saputo imporsi sulla regolamentazione con la scusa che, senza di loro, la banda larga non esisterebbe. Non è vero: noi c’eravamo prima di loro e oggi la gente sul web ci lavora, gioca, socializza, studia, fa molto altro.
Cosa propone?
Il «fair share»: devono dare un contributo, partecipare agli investimenti. Anche perché hanno iniziato a vendere, per pochi euro, un servizio in alta risoluzione che raddoppia l’uso della banda per ciascun utente che lo sottoscrive. Tolta l’iva, loro intascano tutto, mentre i nostri costi raddoppiano e se qualcosa non funziona il cliente chiama noi, esponendoci a ulteriori spese. Fino a quanto può durare un modello in cui un soggetto guadagna e un altro paga?
Dov’è la via d’uscita?
Continuare a lavorare, diversificare il business. Personalmente sento la responsabilità dei 6 mila colleghi di WINDTRE, che significano altrettante famiglie, più tutti i nostri partner commerciali e tecnici. Le telco negli ultimi anni hanno messo sul piatto 40 miliardi, mentre il Pnrr, per il nostro settore, ha previsto 6 miliardi. Vogliamo continuare a investire, ma senza riforme adeguate gli investimenti andranno calando.
L’ultima novità è che siete diventati un’agenzia assicurativa.
WINDTRE è l’operatore con più clienti, leader nel mercato del mobile. Siamo un brand estremamente forte, riconosciuto dal 99 per cento degli italiani. Vogliamo diventare il riferimento delle famiglie per i servizi, semplificando la vita delle persone. Lo facciamo, stavolta, tramite pacchetti assicurativi che proteggono la casa e i viaggi, attraverso un prodotto dal costo giusto, dalle garanzie chiare e trasparenti.
La vetrina di un negozio Windtre
Un salto nel buio per scovare forme di guadagno alternative?
Al contrario, conosciamo il territorio. Lo avevamo già presidiato con gli smartphone, con le protezioni per i guasti o per i furti. Inoltre, dall’anno scorso proponiamo gas e luce.
Qual è l’elemento comune con le assicurazioni?
Il negozio, a partire dai nostri 700 punti vendita diretti. Qui il cliente può far tutto senza dover presentare decine di documenti, con la certezza di trovare qualcuno che si prenderà cura di lui. Per vendere l’energia, per esempio, ci siamo messi a leggere le bollette, facendo sottoscrivere l’offerta solo a chi conveniva veramente. Il passaparola può danneggiarci o sostenerci: abbiamo clienti fedelissimi che stanno con noi da vent’anni.
Con l’esplosione del digitale i negozi hanno perso la centralità di una volta.
Non per tutti. E non vogliamo abbandonare chi non è un fenomeno con le app o i servizi online. In ogni caso, il minore affollamento permette di avere più tempo per gestire le richieste di quanti entrano, spiegargli bene una proposta, dargli la garanzia che, qualora dovesse presentarsi un problema, qualcuno si adopererà per risolverlo. Il nostro personale viene formato con grande cura e attenzione. In generale, manteniamo un approccio controcorrente.
Di che tipo?
Io stesso vado nei negozi e mando i miei manager sul territorio. Così sperimentano quanto ci vuole a inserire una pratica nel sistema o ascoltano le richieste e i dubbi del cliente e dei colleghi che lavorano nei punti vendita. Non possiamo capire molto, né affrontare il futuro, rimanendo immobili dietro una scrivania.
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