Costantino della Gherardesca: "Il teatro, Pechino e le novità social"
Intervista al conduttore, che ha tradotto e adattato lo spettacolo "The Boys In The Band", in scena a Milano con la regia di Giorgio Bozzo
Costantino della Gherardesca debutta a teatro. No, il conduttore non si è dato alla recitazione (almeno non per ora) ma è l’autore della traduzione e dell’adattamento italiano di The Boys In The Band. L’opera teatrale del commediografo americano Mart Crowley, considerata uno dei manifesti del Movimento Lgbt, sarà in scena allo Spazio Teatro 89 di Milano dal 13 giugno al 19 giugno - con la regia di Giorgio Bozzo - poi in tour nel resto d’Italia nella prossima stagione. “È un testo sorprendente con dei personaggi complessi che è impossibile non amare”, racconta Costantino a Panorama.it, parlando anche del suo futuro in tv e sui social, tra Pechino Express e Un marito per Costa.
Cinquant’anni dopo la prima messa in scena, The Boys In The Band è ancora un cult. Perché Costantino?
Perché è un testo precursore che riuscì a raccontare la realtà omosessuale in un periodo antecedente all’acquisizione dei diritti gay: andò in scena un anno prima delle proteste di Stonewall, e restò in cartellone per oltre mille repliche. Anche se New York all’epoca era il luogo più progressista del mondo, la vita per gli omosessuali era comunque molto complicata.
All’epoca lo spettacolo divenne un fenomeno di costume, a breve la versione cinematografica sarà su Netflix. Oggi è ancora attuale?
Sì, è una commedia estremamente attuale perché la lotta per l’emancipazione e per il raggiungimento dei diritti civili non è ancora finita. E poi i personaggi sono pazzeschi, con le loro nevrosi e con la forza con cui si battono per l’accettazione.
Com’è stato lavorare alla traduzione e all’adattamento?
Molto divertente perché il testo è molto cattivo. La traduzione originale era annacquata, non reggeva, perciò abbiamo ritradotto tutto con la supervisione dei detentori dei diritti. La parte più difficile è stata tradurre i riferimenti culturali americani dell’epoca.
Se dovessi recitare, quale dei personaggi sceglieresti?
Harold, il più dannato e cattivo. Tutta la pièce è un gioco al massacro perché è protagonisti hanno un passato complicato, si battono contro una società che non li tollera. Si prova empatia per loro, alla fine dello spettacolo si è grati perché si capisce che è anche grazie a loro che è stato possibile conquistare diritti che i giovani di oggi danno per scontato.
Tra qualche settimana si celebra il 50esimo anniversario dei moti di Stonewall. Come sta messa la comunità Lgbt?
Pochi anni fa non c’era lo spauracchio di uscire dall’Europa, adesso è diventata una cosa possibile. Lo stesso può accadere sul fronte dei diritti civili, c’è sempre il rischio di tornare indietro. Basta guardare cos’accade in Egitto: nessuno ne parla ma la situazione per i gay è drammatica da quando c’è al-Sisi.
L’Italia è un paese omofobo secondo te?
Xenofobo più che omofobo. La chiusura verso il mondo ha degli effetti collaterali negativi e sempre di più l’omosessualità diventa un capro espiatorio.
Il grillino Vincenzo Spadafora, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, pochi giorni fa ha detto: “Giusti i Gay Pride, ma non mi piacciono gli eccessi”. Dunque i gay devono sfilare in giacca e cravatta?
È una dichiarazione fuori tempo massimo. Oggi il Pride è molto importante perché ci sono stati dei clamorosi passi indietro culturali. Io dico: sfilate con le piume o in giacca e cravatta, basta che sfiliate.
Essere un omosessuale dichiarato ti ha penalizzato sul lavoro?
Sì, ma chi se ne frega. Non mi piace la mancanza di coraggio, credo nel karma e i codardi mi fanno orrore.
Hai condotto The Voice nel 2018, poi è subentrata Simona Ventura: che ne pensi dell'edizione terminata pochi giorni fa.
Non l’ho vista. Ma mi stanno molti simpatici Gué Pequeno e Elettra Lamborghini. Però di recente ho guardato molto Barbara D'Urso.
Un radical chic come te guarda la D’Urso?
Sì, la amo. E poi mi sono appassionato al Prati-gate: più che uno scandalo, lo considero un’opera d’arte moderna. Penso l’indotto giornalisti, parrucchieri, autori tv, comparse, soubrette in declino che ha lavorato e guadagnato grazie a due uomini che non esistono.
Sciogli l’arcano: la prossima edizione di Pechino Express la conduci tu o Simona Ventura?
Non so ancora nulla. Ubbidendo al volere del pubblico, che mi chiede di rifarlo, partirei anche domani. Ma la scelta spetta alla Rai e a Carlo Freccero.
Il direttore di Rai 2 lo hai incontrato?
Lo conosco da anni, lo trovo simpatico e spiritoso. Ci siamo visti per la parlare della seconda stagione di Apri e Vinci.
Il road-quiz Apri e Vinci è nel prossimo palinsesto di Rai 2?
Sì. Gireremo a breve la nuova stagione e sono contento perché ci ha dato grandi soddisfazioni. Sicuramente andremo il più possibile al sud: sembra un luogo comune, ma l’accoglienza che abbiamo avuto a Napoli non è paragonabile a quella di Milano, dove sono stati più algidi.
Intanto cerchi l’amore con Un marito per Costa, nuovo format per la tua Instagram tv: hanno fatto un appello per te anche la D’Urso, Elsa Fornero ed Elisabetta Canalis.
“Devi adeguarti, ora anche i gay preferiscono le coppie monogame”, mi hanno detto ironicamente i miei amici. Così abbiamo aperto i casting e a breve faremo dei veri blind date, anche se saranno appuntamenti al buio un po’ inusuali: loro mi conoscono, io li vedrò per la prima volta durante le registrazioni ma saranno liberi di mandarmi a fanculo.
Come funziona il meccanismo di questo divertissement a portata di IGTV?
Tre miei amici porteranno i loro candidati e in contemporanea mi vedranno mentre incontro uno alla volta gli aspiranti mariti. Solo alla fine deciderò di chi tenere e con chi provare a uscire. Voglio un marito simpatico e che mi faccia ridere.
Il tuo grande sogno professionale ancora da realizzare?
Diventare una colonna della tv e macinare contratti milionari come Paolo Bonolis o Gerry Scotti. Ma non voglio stare in tv in eterno: sogno di andare in pensione presto e di godermi la vita sulla costa atlantica curando il mio giardino.
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