Roberto Cenci: "All'Isola dei Famosi ne vedremo delle belle"
"La mia fortuna? Collaborare con grandi registi a cui ho rubato piccoli segreti"
Varietà, intrattenimento e talent. Vista dai monitor della regia, la carriera di Roberto Cenci è un’inquadratura a fuoco tra successi, esperimenti televisivi e grandi ascolti, dalla mitologica Buona Domenica dell’era Costanzo a Ti lascio una canzone, passando per Ciao Darwin. Cenci si è tolto molti sfizi ed è diventato, secondo molti, uno dei perni dell’intrattenimento targato Mediaset. C’è anche chi lo definisce un “regista potente”, ma lui si schernisce e alla vigilia della partenza della decima edizione dell’Isola dei Famosi, di cui sarà regista – “ma né autore né direttore artistico com’è stato falsamente scritto da qualcuno” - si racconta a Panorama.it.
Roberto, partiamo da una constatazione: un reality puro mancava nel suo curriculum.
Ho fatto Campioni e Amici ma erano contaminazioni tra più generi: il reality puro in effetti mi mancava. La richiesta è arrivata da Mediaset, con cui ho un contratto di esclusiva: è stata una proposta inaspettata, cui ho detto subito sì.
Da profani, è complicata la regia di un progetto come l’Isola dei Famosi?
Non è così complicata. Si tratta di gestire diverse “stazioni”: come il Grande Fratello ha tutta la casa collegata, qui abbiamo l’Honduras collegato e tanto arriva da lì. Si tratta di coordinare l’insieme. Non si sottovaluta mai un lavoro ed io affronto sempre tutto col massimo impegno, ma a livello di difficoltà ne ho fatte di peggio.
Ad esempio?
La presentazione della Fiat 500 a Torino, con trenta telecamere in diretta, era un po’ più complessa. Ma l’Isola ha un linguaggio diverso e tutto suo, per cui devi mettere un po’ di ordine.
Hai lavorato con mezza tivù, da Fiorello alla Clerici e Costanzo, ma è la prima volta con Alessia Marcuzzi. L’impatto com’è stato?
Alessia ed io ci siamo sfiorati molte volte e ci siamo detti che un giorno avremmo lavorato assieme. Adesso accade e sono molto contento perché è una professionista valida, attenta e precisa. E poi è moderna, m piace.
Sulla carta hai dei concorrenti preferiti?
Preferiti no. Mi sembra un cast molto variegato. Rocco Siffredi è un personaggio molto molto simpatico. Mi piace la tenerezza di Patrizio Oliva, che m’ispira simpatia. I meccanismi del reality poi si sviluppano in corsa e, costretti in una situazione particolare, escono alcune dinamiche caratteriali che fanno sì che o vincano o tornino a casa.
Il confine tra il cult e il trash è sempre stata una delle chiavi del programma: c’è il rischio di assistere a qualche scivolata?
Se ti riferisci alle litigate che ci sono state in passato, penso siano “normali” quando si vivono condizioni così estreme. Non so dirti cosa accadrà, ma mi sembra che ci siano caratteri belli contrastanti per cui sarà sicuramente movimentato. C’è ben altro trash in tivù.
Nell’intrattenimento Mediaset hai un ruolo centrale e sei etichettato come un regista di potere: è una definizione in cui ti ci ritrovi?
(ride) Direi proprio di no, Per fortuna mia, ho avuto la possibilità di collaborare con grandi registi come Beppe Recchia - era una macchina da guerra nel meccanismo, negli snodi, nella pulizia del linguaggio - e Davide Rampello da cui ho imparato il gusto estetico. Da loro ho cercato di rubare quello che potevo. Poi ho avuto la fortuna di poter scrivere e realizzare dei formati miei, vedi Ti lascio una canzone e Io canto, o di collaborare con Maria De Filippi all’impostazione di Saranno Famosi che poi è diventato Amici. Nel mio mestiere non sono chiuso solo alla regia o alla ripresa ma cerco di essere in tutto il progetto: questa è la mia forza, ma non sono affatto potente.
La tua regia ha un linguaggio riconoscibile. Sei stato tra i primi a introdurre i rallenty in diretta o ad usare il braccio con la camera. Come nascono certe intuizioni?
Il rallenty è nato a Donna sotto le stelle: mi piaceva l’idea di spingere, rischiare in diretta e poi i rallenty ti permettono di vedere meglio i dettagli. L’ho fatto perché mi piaceva, oggi non più: preferisco un linguaggio più fermo, più cinematografico. La cosa importante è mettermi al passo con i tempi. Il jimmy jib, il braccio estensore leggerissimo di nove-dieci metri sono stato il primo ad usarlo dopo averlo visto in America: allora esistevano solo enormi bracci che in studio erano difficili da usare. Io gli ho fatto togliere i comandi e da allora ha preso piede: forse ho sbagliato a non chiedere una percentuale (dice ridendo).
È vero che farai la regia di Rising Star?
Ne abbiamo parlato ma per adesso è stato spostato. Capiremo più avanti cosa accadrà. Televisivamente parlando sono contento del grande risultato del Capodanno con Gigi D’Alessio, con Canale 5 che torna a essere protagonista in quella serata. E sono orgoglioso e soddisfatto dello show con Angelo Pintus che abbiamo fatto al Forum di Assago e trasmesso su Italia 1: è un personaggio che ci darà grandi soddisfazioni.
Pintus l’hai scoperto proprio tu. Sei considerato un talent scout: c’è un personaggio che hai lanciato e di cui vai più fiero?
Pintus lo conosco dal ’94, quando lavorava in Valtour. Sono fiero di tutti: nel bene o nel male, mi fa piacere che in molti lavorino nell’ambiente. Penso ai ragazzi del Volo, ad Alessandro Casillo e Andrea Faustini, che è stata la punta di diamante di X Factor Uk quest’anno – e sono convinto che Cowell punterà molto su di lui. Ma cito anche Antonio Baldes, che era a Saranno Famosi e oggi fa il coreografo, o Monica Hill che fa la corista della Pausini: quando ho intuito del talento in questi personaggi, poi il risultato si è visto e ha dato i suoi frutti.
Stai scrivendo altri programmi in questo momento?
C’è una cosa in ballo con Pintus ma non mi sento di anticipare molto. Potrebbe essere una bella novità per la primavera, magari su Italia 1.
Nel tuo curriculum manca il Festival Sanremo: è un tuo sogno?
Ho un particolare attaccamento a Sanremo perché mio papà, che suonava la chitarra, è stato un musicista e ha fatto 13 Festival. Entrando all’Ariston ci sono delle foto storiche di Mike Bongiorno, in cui si vede anche mio padre. Farlo sarebbe quasi sarebbe un regalo lui, ma non so se capiterà.
Ci sei andato vicino?
Con Paolo Bonolis si accennò alla cosa, ma avevo un’esclusiva con Mediaset e non se ne fece nulla.
Da addetto ai lavori, che effetto ti ha fatto il quasi flop di Forte Forte Forte?
Mi dispiace per Raffaella. È stato fatto un grande errore di valutazione. Con quelle immagini e i montaggi stramoderni che forse non farebbe nemmeno Sky, non è un linguaggio da Rai Uno. E poi avrei preso l’eccellenza nei vari settori: pensare di poter trovare una persona che sappia già fare tutto, è pretenzioso.
C’è un programma che hai fatto e non rifaresti?
Continuerei a sbagliare.
Un programma dei tuoi che rimetteresti subito in palinsesto?
Non ti dico Io canto solo perché penso che abbia bisogno di riposare un po’. Ti stupirò: il Concerto di Natale in Vaticano: era magico, nella Sala Nervi, era un evento importante per Canale 5. Ma ne rifarei tanti, anche Donna sotto le stelle.
A proposito, perché sono sparite le sfilate in tivù?
Perché è sparito quel mondo, quello sfarzo: era la fotografia di un momento, non era solo un programma tivù, era un evento bello e importante. In una sola serata avevi Armani, Valentino, Ferrè, Versace e sfilavano la Schiffer, Naomi, Cindy Crawford. Questi sono tempi diversi ma sarebbe bello che si tornasse ad investire per un progetto di quella portata.
Un personaggio con cui vorresti tornare a lavorare?
Tornei a lavorare con Paolo Bonolis e Fiorello: con entrambi mi sono divertito tantissimo. Dei nuovi, direi Pintus.