Sebastiano Lombardi: "La rivoluzione di Rete 4, gli ascolti e le novità"
Intervista al direttore, che traccia un lungo bilancio sui programmi del canale Mediaset dopo il profondo restyling impresso lo scorso settembre
Dopo qualche mese di rodaggio, è tempo di tracciare un primo bilancio sulla «rivoluzione» di Retequattro. Il canale Mediaset diretto da Sebastiano Lombardi, 49 anni, ha infatti cambiato pelle lo scorso settembre, spingendo l’acceleratore sull’informazione e l’innesto di volti e programmi tutti nuovi. Il risultato? In un panorama sempre più complicato, la media di rete è salita al 4,5 ed è riuscita a intercettare anche una porzione di pubblico più giovane e istruito. «Il bilancio per noi è più che positivo», ammette a Panorama.it Lombardi.
Direttore, tradotto in parole, quando vale il +0,6% rispetto allo scorso anno?
Se consideriamo il panorama complessivo e confrontiamo i dati dei prime time, Retequattro è ampiamente in controtendenza: è una delle poche reti a essere cresciuta.
Dunque è soddisfatto?
Non bisogna mai essere trionfalistici, ma invertire la tendenza naturale delle reti generaliste a restringere il proprio potenziale di ascolto, è già segno del fatto che siamo riusciti a riaccendere una rete dandole una nuova identità.
A proposito. Da vent’anni si dice: la tv generalista è morta. È così?
Lo stato di salute è buono quando fa l’autoprodotto, è critico quando fa la generalista del diritto, trasmettendo film e telefilm. L’esportabilità del prodotto americano è molto diminuita, così come l’interesse del pubblico. Film e telefilm di anno in anno si deteriorano molto e per questo fanno dati ampiamente sotto le medie di rete.
Lei ha detto che il rebranding di Retequattro è iniziato nel 2016. Ma non avevate la necessità primaria di depotenziare l’etichetta di «canale populista»?
La verità è semplice. Il progetto della nuova Retequattro nasce nel 2016: è un risultato collettivo, che parte da un’idea e uno stimolo di Pier Silvio Berlusconi, che si sono tradotti in una serie di mie proposte. Il pensiero strategico risale a molto tempo addietro: abbiamo fatto tre o quattro piani editoriali prima di arrivare a quello definitivo. Tolto Quarto Grado, che da un decennio è la pietra angolare del nostro prime time, grazie al lavoro mostruoso di Siria Magri, Nuzzi e Viero, abbiamo deciso che era il momento di andare oltre. Il populismo non c’entra nulla.
Però avete rivoluzionato tutto: perché?
È un percorso di maturazione di Mediaset come editore: continuare su quella strada era un compito sterile. Abbiamo percepito di aver costruito una cosa importante facendo una tv populista – non sovranista – cioè dando la voce a chi la voce in tv non l’aveva. Abbiamo affondato il dito in un problema che da lì a poco sarebbe esploso.
Ora invece?
Una volta razionalizzata la visceralità che avevamo fatto emergere, la responsabilità di un editore è quella di dare nuovi strumenti, non di alimentare in maniera indefinita una protesta, che a un certo punto si è avvitata su se stessa.
Adesso la piazza è entrata nello studio con il nuovo programma di Paolo Del Debbio. Gli ascolti di Dritto e rovescio sono in linea con le aspettative?
La genesi è stata lunga ma i risultati ci premiano. Nelle piazze la gente urla in modo scomposto, portandola in studio riusciamo a costruire un dialogo con Salvini, Di Maio o Zingaretti: il conflitto si risolve con gli argomenti, non con la protesta disordinata.
La missione di Gerardo Greco è invece fallita e a febbraio si è arrivati a un licenziamento del direttore del Tg4. Che cosa non ha funzionato?
Abbiamo preso un giornalista molto bravo e abbiamo tentato un innesto culturale che non ha funzionato. Greco aveva un modo di raccontare l’attualità, la politica e la società che il nostro pubblico faticava a riconoscere. Lui non ha capito noi e noi non abbiamo capito lui.
Non sarebbe stato più facile puntare da subito su una risorsa interna?
Non è mai indispensabile fare una scelta esterna ma a volte uscire dal quadrato produce delle contaminazioni efficaci. Abbiamo pensato di cambiare gioco e sperimentare. Poi comunque con Porro abbiamo puntato proprio su una risorsa interna, e direi che abbiamo fatto piuttosto bene.
Ora si parla del possibile arrivo di Alessandro Sallusti al Tg4.
Sallusti è intelligente e molto televisivo. Non so darle una risposta perché è un’indiscrezione che ho letto anch’io sui giornali.
Ha funzionato invece l’altro “furto” alla Rai, quello di Roberto Giacobbo con il suo Freedom. Sta già lavorando a una nuova stagione?
Giacobbo non lavora a un progetto, lo vive. E lo fa con un entusiasmo e una professionalità rari. A maggio ci sarà una nuova stagione, poi da settembre riparte e non si fermerà fino a dicembre e poi oltre.
La vera sorpresa della stagione è stato Piero Chiambretti. Se lo aspettava?
Chiambretti ha fatto un miracolo. Si è messo al servizio del pubblico e ha fatto un doppio salto mortale: era un rischio farlo in prima serata, così come popolarizzarsi senza perdere in raffinatezza. Ora stiamo cercando di ragionare su come potenziare al massimo #CR4 e renderlo un programma ancora più trasversale.
Non è stato un errore interrompere #CR4?
Dobbiamo considerare il budget assegnato e lo spazio in palinsesto. Uno spazio giusto per lui non c’era e avremmo rischiato di danneggiarlo.
Carlo Freccero vorrebbe rubarle Chiambretti. C’è questo rischio?
Capisco Freccero, ma Chiambretti ha un futuro radioso su Retequattro.
Stasera Italia la considera una sfida vinta, anche se la Palombelli non batte la Gruber?
Barbara ha fatto in pochi mesi un lavoro straordinario. Consegna un’eredità di ascolti solidissima alla rete, considerando che fa da sola il 50% del prime time. È un pilastro assoluto.
E i numeri in crescita de Lo sportello di Forum come se li spiega?
Dipende sempre molto dalla Palombelli che ha scelto di mantenere la vivacità delle contrapposizioni e la messa in scena drammatica di Forum, ma introducendo con sensibilità dei temi contemporanei, con attenzione agli aggiornamenti costanti della giurisprudenza.
Invece cosa centrano le soap Il segreto e Una vita con la rivoluzione di Retequattro?
Prima risolviamo un equivoco: la stampa ha letto il riposizionamento di Retequattro come un attacco frontale a La7, ma non era così. C’era la volontà di riaccendere una rete ma non limitandosi all’informazione: infatti abbiamo la divulgazione spettacolare, il crime, la politica, la società, l’intrattenimento di parola. Un prodotto come Il segreto serve a fare una rete completa e generalista e a non tradire le attese di un pubblico che ama Retequattro da anni.
C’è un sapore che manca alla sua Retequattro?
Non sono chiamato a fare la tv che voglio io, sono un manager che fa la tv pensandola da spettatore. E se io penso alle serate di Marcella Bella le vedo come una festa, un regalo per il nostro pubblico. Penso che Retequattro dovrebbe riproporre nuove stagioni di quei concerti. E poi vorrei punteggiare il palinsesto con documentari come Planet Earth della Bbc.
È vero che in autunno torna Maurizio Costanzo?
Stiamo lavorando per il suo ritorno a casa, mi piacerebbe tantissimo, ma non posso dire altro.
Un volto giovane su cui scommetterebbe?
Lucilla Agosti. A breve partirà un progetto di «cambio vita», in seconda serata, in cui un gruppo di sconosciuti andrà a vivere in un borgo abbandonato. La conduttrice sarà lei.
C’è un programma che ruberebbe alla concorrenza?
Sì, Stasera tutto è possibile. È l’intrattenimento pulito e gustoso che piace a me. E trovo che Amadeus sia un conduttore di grandissimo garbo umano, molto più bravo di quanto non gli piaccia mostrare.
Una curiosità: perché avete liquidato Emanuela Folliero con un annuncio andato in onda a notte fonda?
Non l’abbiamo liquidata. Mediaset ha deciso di non fare più gli annunci perché non appartengono a un linguaggio contemporaneo e lei ha voluto salutare il suo pubblico senza un protagonismo che non le appartiene. Ha avuto un comportamento di grande professionalità ed eleganza.
Da oltre quattro anni dirige Retequattro, ma “da grande” cosa vuole fare?
Il mio sogno è continuare a fare ciò che sto facendo. Ho la giusta autonomia, molta responsabilità e la possibilità di dare un’impronta editoriale in cui credo. Non ho ambizione di nuovi galloni: piuttosto ambisco a fare le cose che mi piacciono.
Per saperne di più:
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