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L’amicizia in una lattina di birra

L’amicizia in una lattina di birra

Zac Efron, volto noto di commedie adolescenziali, è stato scelto dal regista Peter Farrelly (tre premi Oscar per Green Book) per un film «serio» sulla guerra del Vietnam con Russell Crowe. A Panorama, tutti e tre raccontano come la storia vera di un ragazzo che porta le birre agli amici al fronte li abbia cambiati. In meglio.


Si dice sempre che il cinema inventa storie che superano la realtà, e questo è uno di quei rari casi in cui si può dire il contrario: quando ho letto la storia di Chickie Donohue non potevo credere che qualcuno potesse compiere la follia di partire per il Vietnam solo per portare una birra ai propri amici impegnati in guerra». Zac Efron, 34 anni, riassume così il senso di Una birra al fronte, film in uscita su Apple Tv+ il 30 settembre, che racconta la vera storia di cui si è reso protagonista John Donohue, detto Chickie, nel 1967. Ex marine diventato marinaio di navi mercantili, Chickie passa le giornate a bere e chiacchierare con i pochi amici rimasti a New York, nel bar di Doc (Bill Murray), pungolato di continuo dal padre che lo vede dormire fino a tardi e lo tratta come un perdigiorno. Il quartiere è diviso tra chi come Doc, veterano della Seconda guerra, appoggia chi è partito per il conflitto in Asia e chi, come la sorella di Chickie, Christine (Ruby Ashbourne Serkis), partecipa alle proteste antibelliche.

Durante una discussione al bar, il giovane prende alla lettera l’idea proclamata a voce alta da Doc: mi piacerebbe offrire delle birre americane ai ragazzi che difendono il nostro Paese! «Ci vado io in Vietnam a portargliele» dice Chickie tra lo stupore dei suoi amici. Una volta arrivato in nave a Saigon, e dopo avere incontrato per caso uno dei ragazzi partiti per combattere, Chickie si mette alla ricerca degli altri e cerca di portare così a compimento il proprio intento patriottico, imbattendosi in Coates (Russell Crowe), reporter di guerra che tenta di aprirgli gli occhi sulla catastrofe in corso nel Paese per colpa del governo americano. L’esperienza diretta di un conflitto fino a quel momento visto soltanto in tv, cambierà totalmente la prospettiva del giovane.

A dirigere il film è Peter Farrelly, autore per anni con suo fratello Bobby di commedie di successo come Scemo & più scemo o Tutti pazzi per Mary, prima della svolta di quattro anni fa avvenuta con la regia in solitaria di Green Book, film premiato con tre Oscar e altrettanti Golden Globe. «La gente si chiede come mai, dopo aver vinto l’Oscar con una storia vera (quella del viaggio del pianista nero Doc Shirley, accompagnato dall’autista italoamericano Frank Vallelonga nell’America razzista del 1962, ndr) ne abbia girata un’altra realmente accaduta e ambientata solo pochi anni dopo» dice il regista. «A dire il vero si è trattata di una pura coincidenza. Qualcuno mi aveva mandato un breve documentario di Andrew Muscato che raccontava la storia incredibile di questo ragazzo andato in Vietnam per portare delle birre ai propri amici e ho chiesto chi avesse i diritti perché mi pareva una storia da trasformare in film».

A colpire Farrelly non è stata soltanto la follia dell’impresa «larger than life», quanto il fatto che il viaggio di Chickie e le sue conseguenze rappresentassero alla perfezione il clima in cui si trovavano gli Stati Uniti dopo quasi dieci anni di guerra in Vietnam, che il regista oggi ricorda perfettamente: «Quando Chickie partì io avevo 11 anni ed ero costantemente circondato dal conflitto, non solo dalle notizie in tv ma anche dal rumore dei jet che partivano dalla base vicina a Cape Cod, dove andavo in vacanza d’estate. Mi ricordo che il Paese era spaccato, tanto che quando Muhammad Ali si rifiutò di entrare nell’esercito, per evitare di diventare una specie di simbolo esibito in giro per le basi americane, lo accusammo di essere un codardo, e ci sono voluti anni anche a me per capire che invece aveva ragione. In questo senso il viaggio di Chickie rappresenta una rivelazione per chi era convinto che quella fosse una guerra legittima».

Significativo che per incarnare questa presa di coscienza che da individuale diventa collettiva Farrelly, considerato lui stesso da molti un miracolato per essere passato dalle commediacce zeppe di volgarità a film più impegnati, abbia scelto Zac Efron, ricordato più per filmetti come Baywatch e Cattivi vicini che per ruoli di spessore. «Mi ha convinto l’idea di interpretare questo tipo brillante, una sorta di eroe mosso da un briciolo di follia, che ha coraggio ma anche una buona dose di paura, e soprattutto di devozione incrollabile per i propri amici e per il Paese, finché il viaggio non capovolge la sua visione delle cose» dice Efron. «Gli ho chiesto se volesse provare a fare qualcosa di diverso dal solito» ammette Farrelly «e vedendolo lavorare mi è tornato in mente il personaggio di John Travolta ne La febbre del sabato sera: un ragazzo forse non molto brillante, ma dal cuore immenso. Mi ha colpito molto la disponibilità di Zac nell’accettare i miei suggerimenti, ma soprattutto quelli di un veterano come Russell Crowe che sul set è stato utilissimo e gli ha dato molti consigli».

«Per il mio personaggio mi sono ispirato a mio nonno, che era fotografo di guerra e partecipò anche al Secondo conflitto mondiale» aggiunge Crowe. «Coates all’inizio tratta Chickie in maniera sprezzante, poi rimane sbigottito dal fatto che riesca a portare a termine ciò che aveva promesso, intuendo però che quell’avventura per lui si è tradotta in una perdita dell’innocenza». Per ricreare in maniera verosimile il conflitto in Vietnam la produzione ha effettuato le riprese in Thailandia, dove sono state ricostruite l’ambasciata Usa a Saigon, che nel film viene assalita dai soldati vietnamiti, e le trincee in cui erano asserragliati i soldati americani. «Per quattro notti abbiamo girato con Russell le scene della battaglia davanti all’ambasciata e solo quando abbiamo iniziato le riprese di giorno ci siamo resi conto che la facciata era stata ricostruita, mattone per mattone, identica all’originale», spiega Efron. «Quanto alle scene nelle trincee, a farci immedesimare ancora di più sono state le piogge torrenziali arrivate prima delle riprese, che le hanno trasformate in pozze piene di fango. È stato in quei momenti che anch’io mi sono chiesto cosa devono aver provato i ragazzi chiamati a partecipare a quell’orrore».

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