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Scontro di classe

Scontro di classe

Gli episodi di violenza tra studenti, i genitori che aggrediscono gli insegnanti, le devastazioni nelle aule. La risposta alla crisi dell’istituzione formativa è un ritorno all’autorevolezza.


È stato immobilizzato, poi scaraventato a terra, infine colpito con calci e pugni. Di queste immagini la cronaca è drammaticamente piena. Ciò che continua a stupire è che l’aggressione sia avvenuta in una scuola materna, contro il preside dell’istituto di Taranto. «Una docente aveva chiamato, secondo il regolamento, la mamma e il padre di questa bimba di tre anni per cambiarle la biancheria. I genitori si sono presentati già visibilmente nervosi, perché stufi di essere chiamati spesso per questa necessità della bambina» ha raccontato il preside Marco Cesario.

Subito è cominciata la discussione degenerata nella violenza ai danni del dirigente scolastico: «L’uomo mi ha afferrato e sbattuto a terra colpendomi con calci e pugni. Anche la signora ha tentato di darmi un calcio e ha gridato “ora chiamali i carabinieri”».

Potrebbe apparire, questo, un caso isolato. Non è così. Solo pochi giorni prima a Lucera, in provincia di Foggia, contro un altro dirigente scolastico, Pasquale Trivisonne, si era scagliata la madre di uno studente. La ragione? La donna era stata convocata perché il figlio era stato a sua volta aggredito da un altro alunno. Un terzo ragazzo, presente durante il fatto, aveva ripreso e postato sui social l’episodio. Messo al corrente dei fatti il preside aveva preso provvedimenti contro i due ragazzi, sospendendoli per cinque giorni. Una decisione che, per la mamma del ragazzo vittima del pestaggio, sarebbe stata ritenuta troppo blanda, a tal punto da andare nella scuola del figlio, e «punire» il preside con calci e pugni.

Un cortocircuito evidente, dunque, quello che si verifica nel sistema scolastico italiano, reso esplicito anche dai numeri. Secondo quanto comunicato dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, «da quando abbiamo iniziato a rilevare l’incidenza delle aggressioni commesse in danno del personale scolastico, quindi a partire dallo scorso anno, abbiamo registrato un aumento con riguardo alle aggressioni perpetrate dai genitori pari al 111 per cento». Se durante tutto il 2023 si sono registrati 36 casi, quest’anno siamo già a quota 27. «Questo dato non può considerarsi episodico, piuttosto evidenzia una tendenza di natura e dimensioni sociali al decadimento della cultura del rispetto delle regole e delle persone così come delle autorità».

Una lettura che vede d’accordo anche Rino Di Meglio, storico segretario del sindacato degli insegnati Gilda. «Le ipotesi di un simile incremento» riflette con Panorama, «possono essere tante, sicuramente il periodo di chiusura del Covid ha lasciato segni nella psiche di molte persone e in generale ha fatto aumentare gli episodi di violenza e scontro fisico. In secondo luogo, stiamo vivendo un momento storico di grande frammentazione, con una società che fa molta più fatica a riconoscere valori condivisi. Il mestiere di educatore, sia per i genitori sia per gli insegnanti, è diventato complicato, dovendo competere con gli stimoli continui della realtà digitale. Oggi, la battaglia culturale deve avere come obiettivo quello di ridare prestigio alle istituzioni e portare le famiglie a una presa di coscienza del dovere di ascoltare e quindi educare».

Per troppo tempo, dunque, poco o nulla si è fatto per contrastare un fenomeno che, per quanto sottotraccia, continua da anni ed è esploso nell’ultimo periodo. Di recente è stato pubblicato il rapporto Eurispes sulla Scuola e l’Università, il secondo dopo vent’anni, realizzato tramite tre indagini e 4.827 questionari compilati dai docenti. Secondo il sondaggio, almeno un docente su dieci nelle scuole primarie e secondarie ha subìto aggressioni da parte dei genitori degli alunni e il 16 per cento, in alcune occasioni, ha ricevuto minacce.

Se consideriamo solo le superiori arriviamo a una media di un insegnante su quattro che almeno una volta nel corso della propria carriera è stato aggredito. Uno stillicidio di violenze che vede appunto come «giustizieri» alunni e familiari.

Ma questo è solo un apetto del malessere che atttaversa la scuola. Accanto agli attacchi contro docenti e presidi, ci sono le aggressioni tra studenti o a danno degli stessi istituti. È successo nei giorni scorsi al liceo «Severi-Correnti» di Milano, occupato dagli allievi che hanno devastato la struttura, con oltre 70 mila euro di danni. L’occupazione, organizzata in solidarietà al popolo palestinese, è durata tre giorni. Che sono bastati però per vandalizzare l’intero istituto, con un bilancio di banchi e sedie rovinati, computer rotti, scritte sui muri, telecamere di sorveglianza distrutte, estintori scaricati e armadietti del personale danneggiati, tanto che per oltre quasi due settimane non si sono potute svolgere regolari lezioni, con ragazze e ragazzi costretti a studiare da casa con la didattica a distanza.

Anche per queste violenze è difficile parlare di episodi isolati. Basta spostarsi di pochi chilometri e, a San Donato Milanese, il preside della scuola superiore «Galileo Galilei» ha di fatto chiuso l’istituto mandando i ragazzi a casa dopo il terzo raid vandalico in soli 10 giorni. Di fronte alle solite immagini di aule sistematicamente devastate, oggetti e arredi rovesciati a terra, tentativi di falò e residui organici lasciati sui pavimenti, si è deciso di chiudere definitivamente. Qualcosa ora potrebbe cambiare dopo la decisione del ministrero, esplicitata in una circolare inviata a tutti gli istituti, di prevedere la responsabilità civile per i devastatori. Anche perché finora a pagare per i danni sono le casse pubbliche.

L’esempio più significativo arriva da Roma. Diverse occupazioni nei licei capitolini tra novembre e dicembre 2023 si sono trasformate, anche in questo caso, in atti vandalici. E se studenti e studentesse se la caveranno con un cinque in condotta nel primo quadrimestre e qualche giorno di sospensione, sarà la Città metropolitana, a cui compete la manutenzione degli edifici scolastici del territorio, a provvedere al ripristino. Quantificato in 300 mila euro. Sottratti ovviamente ad altri capitoli di spesa, sicuramente più utili per l’offerta formativa.

Il fenomeno, però, non deve essere interpretato in modo semplicistico, imputando ogni responsabilità agli studenti. «Questi ragazzi stanno mettendo in scena le violenze che vivono a casa, a scuola, nell’ambito sociale, a cui assistono attraverso il web o la televisione» dice la psicologa Maria Rita Parsi, a lungo componente dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, da poco in libreria con il saggio Noi siamo bellissimi (Mondadori). «Purtroppo questi episodi di inciviltà sono anche il prodotto di problematiche, incompetenze, difficoltà di tanti adulti nell’educare. Senza dimenticare il problema della disgregazione familiare che molti adolescenti vivono in maniera traumatica».

Di fatto i ragazzi sono «il prodotto delle estreme difficoltà in cui si dibattono le prime due agenzie educative del nostro Paese: la famiglia e la scuola. Se le prime sono sempre più allargate e confuse, la seconda non è riconosciuta come abbastanza autorevole da studenti e genitori». Bisogna immaginare una scuola diversa da quella del passato, secondo Parsi, istituendo negli istituti di ogni ordine e grado, a partire dall’asilo, «équipe multidisciplinari tra formatori e psicologi collegate con gli enti culturali e sanitari del territorio. Solo un tale approccio favorirebbe un rinnovato dialogo con i giovani». Un possibile modo per rispondere a una crisi dell’intera società. E di cui i ragazzi sono le prime vittime. Prima di trasformarsi nei protagonisti di violenza.

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