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Ma a chi serve questo «Strega»?

Ma a chi serve questo «Strega»?

I lustrini e le ombre, il potere editoriale e le mode stilistiche del più importante riconoscimento letterario italiano.


Fosse stata una corsa di cavalli non serviva neppure l’abilità di un bookmaker: nella cinquina dei finalisti Strega, da poco annunciata, sono prevalsi i favoriti della vigilia, a partire da Mi limitavo ad amare te di Rosella Postorino, seguito da Come d’aria di Ada d’Adamo, sotto i riflettori anche per la recente scomparsa dell’autrice, e Dove non mi hai portata di Maria Grazia Calandrone. Completano la cinquina La traversata notturna di Andrea Canobbio e Rubare la notte di Romana Petri.

A due settimane dalla designazione del vincitore del 77° Premo Strega 2023, il 6 luglio al Museo nazionale etrusco di Villa Giulia, uno sguardo più attento allo stato di salute di quel microcosmo – con le sue liturgie e idiosincrasie – che è la narrativa italiana, è d’obbligo. Se guardiamo ai dati di mercato, l’industria editoriale ha più di un motivo di soddisfazione: la narrativa nei primi quattro mesi dell’anno è cresciuta del 17,3 per cento rispetto al periodo pre-Covid (2019) e del 2,5 rispetto al 2022 (dato Associazione italiana editori – Aie). Del resto, con 215 mila visitatori, Il Salone del libro di Torino, da poco concluso, ha segnato proprio nel 2023 la maggiore affluenza di sempre.

E allora? Il problema si pone se ci si sposta dal piano dei numeri a quello più impalpabile e sfuggente della qualità. Perché questa macchina da guerra quasi perfetta mostra allora qualche incrinatura e non pochi scricchiolii. È vero che i supplementi culturali di alcuni dei quotidiani hanno aumentato le pagine e pullulano di recensioni spesso entusiaste e prodighe di stelline «alla Tripadvisor», ma nei commenti e recensioni sono sempre più coinvolti gli scrittori stessi, costretti a dividersi tra scrittura letteraria, cronaca giornalistica e una spericolata vita da globetrotter in eventi promozionali e salotti mediatici. E proprio qui sta una parte del problema: scrittori che presentano altri scrittori potranno anche dirci qualcosa su valore e consistenza dei libri che non sia improntato al bon ton o, al massimo, a qualche accondiscendente rimbrotto?

Ora, a gettare con veemenza il sasso nello stagno ci ha pensato uno dei critici più autorevoli e documentati, Gianluigi Simonetti, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Losanna e già autore de La letteratura circostante, un testo di riferimento sulla narrativa e poesia italiana del nuovo millennio. Il suo Caccia allo strega – Anatomia di un premio letterario, ora uscito da Nottetempo, punta l’obiettivo sul celebre riconoscimento – lo Strega, appunto – e lo fa, com’è suo solito, senza sconti per nessuno. A sostegno delle sue tesi, l’autore ripercorre alcuni testi esemplari vincitori allo Strega da inizio Duemila e che hanno segnato e indirizzato progetti narrativi, stile, tono delle opere di successo degli ultimi vent’anni. Per Simonetti ciò che accomuna queste e altre opere di successo, di diverso valore e identità formale, è la loro doppia natura , il giocare la propria partita stilistica su due livelli: quello dell’«effetto di artisticità» e quello dell’intrattenimento puro. Con il rischio che la narrazione d’effetto nasconda «un vuoto di approfondimento psicologico» come, per citare alcune opere di successo, Non ti muovere (2002) di Margaret Mazzantini, La solitudine dei numeri primi (2008) di Paolo Giordano, M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati e, venendo all’ultimo Strega (2022), Spatriati di Mario Desiati.

«Se guardiamo ai cinque titoli finalisti allo Strega di quest’anno» osserva Simonetti «nei primi quattro più votati troviamo un romanzo su bambini orfani di guerra (Postorino), uno sulla malattia mortale di una madre di figlia disabile (D’Adamo), un altro su una madre suicida (Calandrone) e uno su un padre depresso (Canobbio). Colpisce che siano tutti romanzi del dolore e del lutto, tutti abbiano la famiglia al centro, tutti siano ispirati a “storie vere”, incluso quello della Petri sulla vita Antoine de Saint-Exupéry, a completare una cinquina molto omogenea nel ridurre al minimo l’invenzione». Prevale, insomma, il modulo della testimonianza accorata, ostentatamente sincera, ma pesante: una narratività che raffiguri il male per esorcizzarlo e curarlo (fenomeno testimoniato del resto già dai titoli di opere come Riparare i viventi di Maylis de Kerangal del 2015, e più di recente , E poi saremo salvi di Alessandra Carati, nella cinquina 2022, Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli). «Servono emozioni forti perché nella società difettano; si cuciono legami familiari mentre la famiglia scoppia; si cerca affannosamente l’autenticità perché ci si sente – e si è – immersi nell’inautenticità più totale». E l’editoria, per vendere, cavalca questo gusto dei lettori proponendo storie spesso melodrammatiche che trovano poi nello Strega la perfetta vetrina mediatica.

Un cambiamento, quello della sensibilità dei lettori, che procede in modo quasi speculare: influenzati dai social e da una comunicazione sui mass media sempre più soft, risultano meno disponibili ad affrontare recensioni impegnative, che tocchino aspetti tecnici, stilistici, formali, mentre paiono piuttosto attratti da valutazioni polarizzate, tipiche dei social (bello/brutto, mi piace/non mi piace). «La comunicazione letteraria» continua Simonetti «è sempre più semplificata, appaltata, sulle pagine dei giornali e dei supplementi culturali, a figure non specialistiche, a tuttologi vip o spesso agli scrittori più noti, che hanno la tendenza a spettacolarizzare i loro interventi e a diminuire l’approfondimento critico dell’opera. Anche per una difficoltà corporativa: per uno scrittore è molto imbarazzante parlare male di un collega, di fatto non avviene quasi mai. Ma in questo modo la critica si trasforma in “esperienza di lettura”, assecondando quello che si ritiene un gusto di un pubblico poco incline ad analisi rigorose, ma oneste».

Il combinato-disposto di questi due fattori, indebolimento del ruolo della critica e mutazione antropologico-culturale del lettore, contribuisce anche a spiegare come mai «nelle competizioni letterarie la bellezza vince solo a volte, e magari per caso. Di solito i premi non vanno agli scrittori in assoluto più bravi, ma, nell’ipotesi più favorevole, a coloro che meglio intercettano una tendenza o una sensibilità del proprio tempo: il gusto della giuria, degli editori, del pubblico in quel momento storico». La conclusione di questa analisi non annacquata del premio letterario e della narrativa che tende a valorizzare è che vincitori dello Strega «non si nasce, si diventa»: con un’astuta calibratura di marketing e «storytelling», e un’accorta promozione non solo del libro, ma soprattutto dell’autore, che ha successo nella misura in cui riesce a imporsi nella cosiddetta «infosfera» mediatica. E allora un romanzo di successo si può cercare di pianificarlo anche al di fuori del lavoro sulla scrittura, investendo sull’immagine dell’autore, come suggerisce Simonetti quando annota, con un tocco di perfidia: «Con il tempo, la pazienza e i social si può costruire un personaggio pubblico, collegato a un sistema di relazioni, amicizie e visibilità che poi diventa parte integrante di un’opera-autore che vive a sua volta nei molteplici livelli della chiacchiera mediatica: sul web, in tv, nel giornalismo, nel costume. Fino a decantare in un’appendice scritta che qualcuno candida ai premi letterari».

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