Home » Musica: il pop è femmina. Maschio dove sei?

Musica: il pop è femmina. Maschio dove sei?

Musica: il pop è femmina. Maschio dove sei?

Dua Lipa (sensuale e dance), Taylor Swift (romantica e country), Billie Eilish (GenZ e fluida) sono le regine delle classifiche mondiali perché parlano, ciascuna, a un popolo preciso. Mentre i colleghi uomini hanno perso audience.


Era un «boys club», il mondo del pop, adesso non più: i tempi d’oro delle teen band alla Backstreet Boys e di un ex Take That, Robbie Williams, sul trono della musica mainstream sono finiti. Lo hanno decretato gli ultimi Grammy Awards, un’incredibile passerella di ragazze vincenti: da Billie Eilish a Miley Cyrus, passando per l’inarrestabile Taylor Swift che ha stravinto per la quarta volta nella categoria miglior album dell’anno. Non c’era mai riuscito nessuno, nemmeno Frank Sinatra, Stevie Wonder e Paul Simon, fermi a quota tre. Ma dove sono finiti i ragazzi? Intendiamoci, non è che gli uomini siano stati emarginati dall’industria musicale, solo che hanno scelto di silenziare la loro vocazione di artisti pop per dedicarsi al folk, alla scena alternative oppure lanciarsi nel mare indistinto del rap o della trap. Uniche eccezioni, Harry Styles e Justin Bieber che nel frattempo sono diventati trentenni, e, volendo, Ed Sheeran, che riempie gli stadi con performance voce e chitarra.

Ma non è solo una questione musicale: le origini della conquista dell’universo pop da parte delle ragazze risale ai primi anni Duemila quando le Pop Queen, per creare empatia e complicità con i nuovi adolescenti digitali, si allontanano dall’archetipo della star che si pone come un modello inarrivabile, distante dalle vite e dalle emozioni di chi la ascolta e la adora. Nell’era social, della comunicazione in tempo reale, i teenager non cercano solo refrain da ricordare, ma anche figure con cui condividere il senso della vita di tutti i giorni, dai grandi temi alle piccole questioni.

Si è mossa tra le prime in questa direzione Lady Gaga e ancor più Billie Eilish, diventata l’icona delle nuove generazioni e al tempo stesso quanto di più lontano si possa immaginare dal mondo di riferimento e dall’estetica frivola del girl power delle Spice Girls. Con lei (nata nel 2001) prende forma una nuova idea di icona pop. La depressione giovanile, la sessualità fluida, le incertezze adolescenziali trovano forma e spazio nelle sue canzoni, in quel che dice e anche in come appare, spesso avvolta in abiti extralarge, con i capelli e le unghie colorate, creando di fatto un nuovo approccio all’immagine della ragazza famosa. Portavoce di una generazione, antistar da miliardi di clic in streaming, Billie ha fatto breccia nei salotti mainstream come nessun altro prima. Basta un dettaglio: a 22 anni ha vinto due Oscar per la miglior canzone, prima con No Time to Die (colonna sonora dell’omonimo film di 007) e poi con What Was I Made For? nel film Barbie. Viaggia sempre a contatto con il suo lato oscuro Billie Eilish, anche nell’ultimo disco, Hit Me Hard and Soft, lanciato in tutto il mondo nella sua interezza senza alcun singolo trainante. In quest’era di canzoni usa e getta, in cui gli ascoltatori più giovani fanno addirittura fatica ad ascoltare un brano di tre minuti dall’inizio alla fine, puntare tutto sul concetto di album come opera unica e indivisibile ha un che di rivoluzionario. Ma questo è il potere del pop: una volta che si è in vetta, si dettano le regole e si sfidano tutte le convenzioni, anche quelle del mercato. È così dai tempi di Madonna.

Sono tanti i volti del female power in musica: l’altra faccia della dark side della Eilish è il Radical Optimism (titolo del suo ultimo album) di Dua Lipa. Lei rappresenta il lato «adult» e sensuale della dance. Piace ai giovani, ma soprattutto agli over 30. Nelle sue canzoni rivive il mood del leggendario Studio 54 di New York con evidenti riferimenti alla disco music dei Settanta. La sua Dance The Night è stata la canzone più cliccata dalla colonna sonora di Barbie e nel suo repertorio ha quattro hit da un miliardo di clic ciascuna. Parlano perlopiù d’amore i pezzi da dancefloor della vocalist inglese di origine kosovara, ma a differenza della Eilish o di Lana Del Rey, prevale su tutto la perfezione formale dei suoni e degli arrangiamenti: di personale e intimo o rivelatorio non c’è nulla di nulla. Per questo i suoi album e le sue canzoni non sono diari, ma dizionari illustrati del pop.

Diversa, unica e irripetibile è invece la storia dell’ex ragazza country diventata popstar: nessuno al mondo può competere infatti con i numeri di Taylor Swift (a San Siro il 13 e 14 luglio), entrata quest’anno nella classifica dei miliardari di Forbes con un patrimonio personale di 1,1 miliardi di dollari. Le sue canzoni pop, romantiche, malinconiche e molto personali sono di fatto la colonna sonora del mondo, e la misura della sua popolarità è riassunta in un rapporto di Morgan Stanley secondo cui il tour del 2023 avrebbe avuto un impatto dell’1,5 per cento sul Pil americano generando introiti per cinque miliardi di dollari tra biglietti venduti e indotto economico-turistico. Il sito della sua casa discografica, l’Universal, ha reso noto che «il pubblico in delirio durante gli show di Seattle ha fatto registrare vibrazioni simili a quelle di un terremoto di magnitudo 2.3». Non solo: il recentissimo album The Tortured Poets Department, con 31 canzoni e oltre due ore di musica, è stato il più ascoltato in un solo giorno nella storia di Spotify, totalizzando più di 300 milioni di stream. In pratica, la ragazza di West Reading, Pennsylvania, gareggia da sola e con sé stessa. In un campionato pop a parte, dove le colleghe la intravedono da lontano mentre i colleghi nemmeno scendono in campo…

© Riproduzione Riservata