Se ultimamente, scorrendo i social, vi siete imbattuti in una marea di immagini in perfetto stile anime giapponese, sappiate che siete stati travolti da quella che il web ha ribattezzato “Ghibli Mania”. Ma, sorpresa! Queste illustrazioni non provengono dalla matita di Hayao Miyazaki o dagli artisti dello Studio Ghibli, bensì dall’intelligenza artificiale di ChatGPT. Il chatbot di OpenAI, grazie al suo nuovo generatore di immagini basato sul modello GPT-4o, ha dato vita a una vera e propria ondata di creazioni digitali ispirate allo stile inconfondibile del maestro giapponese, autore di capolavori come La città incantata, Il mio vicino Totoro e Il castello errante di Howl.
L’entusiasmo degli utenti ha portato a un boom di richieste sui server di OpenAI, al punto che il blackout che ha colpito ChatGPT e Sora il 31 marzo potrebbe essere stato scatenato proprio dalla Ghibli Mania. Un’ipotesi suggestiva, ma non ancora confermata ufficialmente.
Il fenomeno ha fomentato un acceso dibattito, sollevando questioni delicate sul diritto d’autore. OpenAI, già al centro di dispute legali legate all’uso dell’AI nella creazione artistica, inizialmente ha permesso la generazione di queste immagini senza particolari restrizioni. Tuttavia, di fronte alla crescente polemica, l’azienda ha rapidamente bloccato la funzione, seguendo una tendenza già vista con altri contenuti controversi.
La vicenda ha avuto origine con il rilascio del generatore di immagini GPT-4o, che ha permesso agli utenti di trasformare foto e meme celebri in illustrazioni e personaggi stile Studio Ghibli. Uno degli esempi più noti è quello dell’imprenditore tedesco Janu Lingeswaran, che ha convertito la foto del suo gatto Mali in un’immagine degna di un film di Miyazaki. Lo stesso destino è toccato a meme virali come Disaster Girl e persino a scatti delle Olimpiadi del 2024, tutti rivisitati in chiave anime.

Ma se il pubblico si è lasciato conquistare dalla magia dell’intelligenza artificiale, esperti di copyright e artisti hanno sollevato non poche perplessità. OpenAI ha cercato di difendersi affermando di aver adottato un approccio “conservativo” per evitare la riproduzione dello stile di artisti viventi, dichiarando che il chatbot rifiuta esplicitamente di imitare tali autori. Tuttavia, la distinzione tra artisti individuali e studi di animazione ha lasciato più di qualche dubbio: Miyazaki è vivo e attivo, eppure le immagini in stile Ghibli sono state generate senza ostacoli. Almeno fino al recente dietrofront di OpenAI.
Mentre lo Studio Ghibli non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali sulla vicenda, sono tornate a galla le parole pronunciate da Hayao Miyazaki nel 2016, quando gli fu mostrata un’animazione creata da un’intelligenza artificiale. La sua reazione fu di assoluto disgusto: per lui, il processo creativo è profondamente legato alla sensibilità umana e l’uso dell’AI nell’arte rappresenta “una mancanza di rispetto per la vita stessa”.
Il dibattito legale è tutt’altro che chiuso. Josh Weigensberg, avvocato esperto in proprietà intellettuale, ha sottolineato che la questione cruciale è determinare se OpenAI abbia utilizzato immagini dello Studio Ghibli per addestrare il suo modello e, in tal caso, se abbia ottenuto una licenza per farlo. Attualmente, la legge sul copyright non protegge lo “stile” di un artista, ma può tutelare elementi distintivi e riconoscibili delle sue opere, lasciando quindi aperto un ampio margine di discussione.
Di fronte alle critiche crescenti, OpenAI sembra aver introdotto nuove restrizioni. Molti utenti che hanno provato a generare immagini in stile Ghibli dopo il boom iniziale si sono visti negare la richiesta. Un chiaro segnale che l’azienda sta rivedendo la propria posizione, forse nel tentativo di prevenire ulteriori complicazioni legali.
Se la Ghibli Mania sia destinata a spegnersi o a riaccendersi sotto nuove forme, solo il tempo potrà dirlo. Ma una cosa è certa: il confine tra creatività umana e intelligenza artificiale è più sfumato che mai, e il dibattito su dove tracciarlo è solo all’inizio.