Sono minuscoli, possono assomigliare a insetti, ma sono concentrati di tecnologia utile per scopi militari (per adesso spiano) o civili. Se ne stanno studiando in tutto il mondo e presto voleranno anche da noi.
Un grosso insetto ronza intorno a una casa. Si appoggia su un ramo proprio davanti alla finestra, o su un cavo, o sul davanzale, poi guarda dentro, aspetta, ascolta. Troppo piccolo per attirare l’attenzione. Certamente non quella di chi non sa che quell’esserino non appartiene alla natura: si tratta di un drone di prossima generazione. E per smascherarlo non basterebbe un entomologo: serve un ingegnere aerospaziale.
Benvenuti nell’ultima frontiera della tecnologia, la miniaturizzazione di robot volanti a scopo militare e non solo. L’Air force americana a inizio 2022 ne presenterà uno della dimensione di un grosso bombo. È così che lo definiscono i ricercatori dell’US Air Force Research Lab che l’hanno pensato (ma a realizzarlo è una società specializzata in attrezzature militari futuristiche, la Airion Health). «Bombo», sorta di ape oversize di cui gli scienziati riproducono anche l’agilità di volo, con ali che sbattendo permettono i «sei gradi di libertà»: avanzare, indietreggiare, andare su e giù, destra e sinistra, oppure rimanere fermo a mezz’aria. La testa si muove, consentendo alla microtelecamera di ampliare il raggio di visuale. Tutto con il tocco di un telecomando.
«L’aviazione è abitualmente associata ad aerei e droni molto grandi, ma ultimamente le cose stanno cambiando: a volte capita di dover accedere a luoghi dove non puoi entrare con un F-16» ha dichiarato un portavoce dell’Air Force Research Lab presentando il progetto. A questo servirà il finto bombo: infiltrarsi in spazi prima inaccessibili per carpire le intenzioni dei nemici, recuperare informazioni tattiche sul campo di battaglia, essere dispiegato in gran numero durante operazioni in formazione «sciame», come ha ammesso l’Air Force Technology transfer and transition, struttura che sovraintende a ogni diavoleria ingegneristica possa servire all’aeronautica militare statunitense.
Se poi questo Mav (Micro air vehicle) si vorrà utilizzare in ambito civile, potrà rendersi prezioso per missioni di diversa natura. Un oggetto simile ispeziona tubature e condotte, si intrufola in grandi ingranaggi industriali, entra negli spazi lasciati dalle macerie dopo il crollo di un edificio.
Quella della miniaturizzazione dei droni è una tendenza che procede rapida, anche se per i militari statunitensi è la realizzazione di un sogno che arriva da lontano. Negli anni Settanta la Cia inventò un insetto robotico del tutto simile a una libellula, l’insectothopter, «insettocottero». Un’invenzione incredibile per tempi in cui i microprocessori avevano appena visto la luce. Dal punto di vista dell’operatività lasciava il tempo che trovava, ma in piena Guerra fredda qualcosa si doveva pur inventare e quello fu un precursore di ciò che vediamo arrivare oggi – i droni-insetti – e quello che già è ampiamente usato sul campo, ovvero minuscoli apparecchi volanti a cui non servono sembianze animali per essere letali.
Come il PD 100 Black Hornet, 10 centimetri di lunghezza per 2,5 di larghezza e un peso a vuoto di 18 grammi. «Si tratta di un piccolissimo elicottero costruito intorno a una telecamera che può vedere anche al buio» spiega Marco Lovera, docente al dipartimento di Scienze e tecnologie aerospaziali del Politecnico di Milano, dove è anche responsabile scientifico dell’Osservatorio drone. «I soldati lo portano appeso alla cintura e lo lanciano per raccogliere immagini del campo nemico o in combattimento senza mettere a rischio la propria vita». Lo costruisce l’americana FLIR Systems tramite la sua controllata norvegese Prox Dynamics, ed è trapelato che ne sono stati venduti almeno 12 mila alle forze armate nel mondo. Ma il numero sta crescendo a dismisura, vista l’utilità: è silenzioso, raggiunge una velocità di 21 chilometri orari, ha un’autonomia di 25 minuti e un raggio d’azione di circa 2 chilometri.
A comprovarne il successo c’è il fatto che anche la Cina adesso ha il suo, fondamentalmente una copia. Si chiama Fengniao, cioè colibrì, ed è stato presentato all’ultima Fiera internazionale delle armi di Abu Dhabi. Lungo 17 centimetri, il suo sviluppatore Huaqing Innovation di Shenzhen ne tesse le lodi puntando sulla trasmissione di immagini ad alta risoluzione, la sostituzione delle batterie (quando il Black hornet deve essere ricaricato) e sensori laser per evitare ostacoli. Inoltre può far parte di uno sciame di 16 droni controllabili con uno smartphone. E questa è un’ulteriore finestra sul futuro.
Non è un caso se in maggio, a Gaza, le forze di difesa israeliane (Idf) hanno usato un attacco in sciame di droni (da qualche chilo) contro militanti di Hamas. Si sono mossi «in collaborazione» tra loro grazie ai comandi da remoto, aprendo la strada a bombardamenti con mortai e missili. Il commento di alcuni osservatori a quella che si ritiene essere la prima azione del genere: «Questo è solo l’inizio». Presto, assicurano, gruppi di 10 o 100 microdroni non avranno neanche più bisogno di controllo umano: basterà l’intelligenza artificiale per far loro prendere decisioni sul campo circa il dove andare e che cosa fare. Non è un caso se il mercato complessivo del settore, si prevede, raggiungerà i 21,8 miliardi di dollari entro il 2027.
«La corsa per i piccoli droni armati diventa incandescente» ha enfatizzato Defense one, portale americano specializzato in news e analisi sulla sicurezza globale. «Nei futuri campi di battaglia vedremo droni e sciami di droni» prevede il generale John Murray, a capo dell’Army Futures Command, branca dell’esercito americano dedita all’innovazione degli armamenti. «Entro il 2030 un quarto dell’esercito sarà formato da robot» teorizza il capo delle forze armate britanniche, generale sir Nick Carter. È in questo contesto che si progetta la miniaturizzazione dei droni pensando alla tecnologia biomimetica, cioè ispirata al mondo animale. «Da un punto di vista tecnico, non si possono costruire microelicotteri più piccoli del Black hornet, la configurazione diventa inefficiente» continua Lovera. «Sotto quella soglia non si può far altro che esplorare il meccanismo ad ala battente, quello degli insetti. Ma le sfide sono molte. Servono materiali leggerissimi e al tempo stesso tanto resistenti da supportarne il moto. Inoltre è difficilissimo far volare il drone in modo stabile, e ancora di più trovare batterie che alimentino il volo abbastanza a lungo, ma senza pesare sulla struttura. Questo è il vero collo di bottiglia».
Ciononostante, come si è visto, il progresso è in atto. Negli anni recenti son stati moltissimi gli studi e i progetti che cercano di «rubare» dai prodigi del regno animale, surrogando a milioni di anni di evoluzione con le tecnologie più avanzate. Ne facciamo solo alcuni esempi. L’azienda inglese Animal Dynamics, specializzata in biomimetica, ha creato Skeeter, un micro-drone praticamente uguale a una libellula: sbattendo le ali può compiere – così sostengono sul loro sito – missioni di sorveglianza a medio raggio. Lo svizzero Laboratory of Intelligent Systems del Politecnico Federale di Losanna si è ispirato alle coccinelle, presentando un drone con elytra (l’ala anteriore con cui questi coleotteri si raddrizzano dopo essersi rovesciati sul dorso) artificiale.
Gli scienziati del Mit di Boston si stanno concentrando su un drone grande come una libellula che si comporta come una zanzara, in termini di agilità e capacità di scampare al pericolo. Può cadere e fare capriole di ogni sorta, resiste agli impatti e potenzialmente può sbattere le ali 500 volte al secondo. Ma anche qui il problema da risolvere è l’alimentazione. Grazie ai fondi messi a disposizione dal cofondatore di Google, Sergey Brin, l’Institute for advanced computer studies della Università del Maryland, sta lavorando sull’impollinazione artificiale: in pratica api robot super intelligenti.
Si è ispirata al moscerino della frutta invece la Delft University of Technology, Paesi Bassi, che ha lavorato a lungo sul progetto DelFly e oggi è all’avanguardia con il suo microdrone che pesa meno di 50 grammi. Ali semi-trasparenti mosse da un motore leggerissimo che le fa volare per sei-nove minuti. E se sbatte contro un ostacolo si rialza e riparte. L’obiettivo della telecamera di uno smartphone aiuta poi l’intelligenza artificiale a mimare il volo sensoriale degli insetti.
Una classe di animali che, presto, forse, inizieremo a guardare con sospetto.