La piattaforma di intrattenimento famosa per i balletti è diventata grande. E oggi è veicolo di messaggi e informazioni, di propaganda, cultura e vendite. Sempre con interazione, ritmo, leggerezza. E con la «schedatura» dei nostri comportamenti.
Un barcone sbatacchiato dalle onde si avvicina all’Italia. È carico di migranti, ma stavolta il campionario di miseria umana è rotto da un’immagine diversa: una ragazza si riprende con lo smartphone mentre sorride e canta. È Chaima Ben Mahmoude, un’influencer di TikTok con 342 mila seguaci, e il suo video visualizzato infinite volte mette sotto una nuova luce quel viaggio tribolato: un affare che pare da poco, divertente addirittura. Non si saprà mai se Chaima ha spinto altre persone a mettersi in cammino, ma questo social network ha fatto ciò che è nella sua natura: intrattenere, accada quel che accada.
Chi ancora pensa a TikTok come l’app dei balletti e del lip-synch (muovere le labbra sui testi delle canzoni) dovrà ricredersi. Pur rimanendo un palcoscenico, la sua repentina espansione l’ha trasformato in un colosso che veicola informazioni e messaggi dei più disparati a una quantità di utenti impressionante, cresciuti a dismisura durante la pandemia. Bastano poche note per inquadrarne la dimensione: l’app cinese (è di proprietà di ByteDance, con sede a Pechino) ormai ha scalzato Google come dominio più popolare al mondo; in settembre ha festeggiato il miliardo di utenti attivi mensilmente; il suo valore di mercato è triplicato nell’ultimo anno da 18,7 a 59 miliardi di dollari, diventando il marchio con la più rapida crescita a livello globale (classifica Brand Finance Global 500); secondo Talkwalker, leader mondiale nella Consumer intelligence, nel corso del 2022 prenderà il sopravvento su tutti gli altri social.
Dalla sua, questa piattaforma di intrattenimento che premia l’interazione e la socialità grazie a video di massimo tre minuti (e tante altre funzioni), utilizza un algoritmo estremamente efficace che analizza le azioni dell’utente (cosa si guarda, per quanto, se si commenta, eccetera) e poi mostra contenuti simili che inevitabilmente interessano. Si premia l’interazione e la socialità, e ogni video è una scintilla per la curiosità di scoprire di più su altri argomenti, che di principio magari non interesserebbero ma chissà.
«È un social network di flusso: finito un video se ne inizia un altro, e poi un altro e un altro ancora, talvolta senza riuscire a smettere, come accade quando si fa binge watching con le serie tv» spiega Francesca Bracciale, docente di Sociologia dei media e direttrice del MediaLaB alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Pisa. «E funziona perché è rapido, semplice da usare e fa interagire con audio, video, elaborazione delle immagini, la possibilità di andare in diretta, l’indicizzazione con hashtag. Deflagrante».
E così che in mezzo alle coreografie dei balletti, molti temi «forti» possono essere visti e condivisi. Dal citato barcone alla guerra in Ucraina. Per settimane centinaia di video hanno testimoniato l’evolversi degli eventi. I carri armati che si avvicinavano, il dispiegamento di truppe… Il quotidiano inglese Telegraph ha recentemente titolato: «Sarà la prima TikTok war?». Secondo Ruslan Leviev, fondatore del Conflict intelligence team (Cit), organizzazione investigativa russa dichiaratasi indipendente, le immagini dei movimenti di mezzi militari postati su TikTok sono una miniera di informazioni. E lo stesso ha dichiarato Benjamin Strick, direttore delle indagini al britannico Centre for information resilience (Cir), che si trova alle prese con questa «open-source intelligence» costituita dai contributi caricati da ragazzi o camionisti o soldati. Ma per l’utente con il cellulare in mano, non è semplice districarsi. Si trovano spezzoni di notiziari, commenti di analisti improvvisati, video propagandistici orchestrati per far pendere l’opinione pubblica verso uno dei due contendenti, clip che spacciano per vere certe immagini prese chissà dove e chissà quando.
Ma intanto le informazioni girano, da qui come da altri luoghi del pianeta con meno copertura mediatica. Come in Cina, dove la minoranza uigura perseguitata e segregata ha dato informazioni sul suo stato di degrado proprio via TikTok (o Douyin, come si chiama la versione locale), finché non gli è stata tolta la possibilità di utilizzarlo. Anche nei Paesi africani c’è un boom nel suo utilizzo. In Etiopia per esempio, dov’è in atto una guerra civile oltre che di propaganda, è stato riconosciuto che proprio su TikTok la popolazione del Tigray (che si scontra con le forze nazionali) ha potuto avere voce e visibilità con l’hashtag #tigraygenocide. Mentre in altre zone del continente guidate da governi autoritari che cercano di limitare l’utilizzo di internet, i giovani scaricano l’app e comunicano col resto del mondo grazie ai loro video di tre minuti.
«È interessante il modo in cui TikTok collega il pubblico più giovane alla politica e agli eventi mondiali. Nessun’altra piattaforma ci riesce così», ha commentato la ricercatrice del citato Cir, Nina Jankowicz, all’agenzia Reuters. Nei media anglosassoni ci si interroga su «come TikTok influenzerà le prossime elezioni». In Australia la Abc (che corrisponde alla Rai) ha aperto un dibattito definendola chiaramente «nuova frontiera della politica», dove ragazzini che magari non hanno neanche l’età per votare finiscono per visualizzare video che rendono pop uno schieramento politico piuttosto che un altro. Si pagano influencer, per riuscirci. Oppure si fa ottenere surrettiziamente un enorme numero di visualizzazioni a certi video di supporto in modo che – ingannando l’algoritmo – finiscano su quanti più cellulari.
La battaglia dell’app per evitarlo è campale, ma rimangono dinamiche difficilmente arginabili. «Su tutti i social c’è una propaganda che può essere invisibile e va al di là dei profili di politici e partiti: qualcuno lo fa meglio altri peggio» ricorda Francesca Bracciale. L’impressione è che oggi in tanti puntino all’attenzione della Generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2012), a tutti i livelli. Lo fa anche la religione, quando diventa virale il video del parroco che canta il brano vincitore di Sanremo, Brividi, sostenendo che erano quelli che San Pietro ha provato nel suo primo incontro con Gesù. Lo fanno i sermoni del messicano Heriberto García Arias, «padre tiktoker», 1,2 milioni di seguaci e 200 milioni di visualizzazioni dei suoi video. Ma ci sono anche gli influencer islamici, che in Francia impensieriscono il quotidiano di ispirazione cattolica La Croix, che scrive: «Una nuova generazione di influencer musulmani raggiunge un gran numero di persone grazie a TikTok e a video che promuovono un approccio ultra rigorista dell’Islam». Un nome su tutti, Redazere, 1,8 milioni di follower che intrattiene con video brevi e accattivanti, ma che riportano a un’interpretazione del Corano senza fronzoli.
Non era scontato che la religione potesse diventare pop, eppure con il giusto approccio su TikTok anche tematiche in ribasso nell’interesse generale hanno nuova vita. Come la letteratura. Durante il lockdown sono nati i «booktoker», che con la loro verve riescono a incuriosire e far avvicinare ai libri (portando a piccoli miracoli di vendite). Una delle più apprezzate, per fare un esempio, è Valentina Ghetti (in arte @bookaddicted), professoressa di lettere bergamasca con 71 mila follower, che fa anche dirette live con lettura collettiva. Ma ci si diverte pure con i video sulla Divina Commedia, talvolta cantata su musiche di Carosone o di Al Bano. Tra i commenti: «Ma perché non è così anche a scuola?». E poi ancora altri contenuti culturali (i video di taglio educativo e didattico sono sotto l’hashtag #ImparaConTikTok), lo sport, spiegazioni pratiche di qualunque cosa, dalla cucina alle unghie. Sempre intrattenendo.
La dinamica non esclude gli aspetti commerciali, che anzi stanno diventando sempre più rilevanti. «Insieme all’evoluzione dei contenuti e del numero di utenti, negli ultimi due anni c’è stato anche un grandissimo incremento negli investimenti da parte dei brand» spiega Federico Rognoni, amministratore delegato di Zed production, casa di produzione che ha per target la Generazione Z, nonché autore de libro TikTok Strategy. «Se prima fare una campagna da 10 mila euro era faticoso, adesso sull’influencer marketing si investono dai 20-30 mila fino a 100 mila euro». Ma anche nella proposta di un prodotto è fondamentale divertire l’utente, che in una frazione di secondo decide se guardare il contenuto o passare al prossimo video. «La fruizione deve essere in forma di intrattenimento, anche per i prodotti più seri» dice Rognoni. «Video emozionali e di storytelling. In un certo senso siamo tornati al concetto del vecchio Carosello: il prodotto non è il centro della comunicazione ma un accompagnamento».
Nel composito mondo di TikTok tutto è leggero e pervasivo, dunque, e tutti sono perfettamente profilati da un algoritmo di cui non si sa niente. Caratteristica che ha sollevato polemiche e aspre critiche, considerando che la proprietà, la citata ByteDance, è stata accusata più volte di collaborare con il Partito comunista cinese per la condivisione di dati, come nel caso della sorveglianza sui campi di rieducazione dello Xinjiang. Secondo uno studio della società di marketing per telefoni cellulari URL Genius, TikTok e YouTube tengono traccia più di ogni altro social media dei dati personali degli utenti. Ma mentre quest’ultimo li usa per i propri scopi, TikTok permetterebbe anche a terzi di accedervi. Impossibile sapere chi sono poi questi «terzi». E, dopotutto, saperlo non sarebbe divertente.