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Bing, il cartone animato che parla ai bambini, ma educa gli adulti

Bing, il cartone animato che parla ai bambini, ma educa gli adulti

Nel mondo lo guardano oltre 2,5 miliardi di persone. Imperfetto e iperemotivo, sa insegnare ai grandi a capire i piccoli, come racconta Mikael Shields, l suo papà produttore.


Mikael Shields stava vivendo un periodo da incubo: «Mi sentivo depresso» racconta senza nascondersi. Produttore di successo, scrittore, accumulatore seriale di premi per i programmi per bambini sviluppati per la Bbc, la tv pubblica inglese, aveva visto il suo matrimonio sfaldarsi fino a naufragare: «Si è rivelato un disastro. Mi vergognavo del fallimento, ho provato a superarlo leggendo più di 150 libri di psicologia, sono persino finito in un monastero buddhista danese. Temevo di essermi perduto, finché ho cominciato a ritrovarmi». Nella via verso la rinascita, siamo a cavallo del nuovo Millennio con il vecchio lavoro ormai alle spalle, l’ha aiutato una strana terapia: una buffa creatura iperemotiva che ha le sembianze di un coniglio ma è un bambino, è nero però non c’entra la razza: «Deve risaltare su uno schermo piatto, dare un’idea di tridimensionalità». Si chiama Bing, qualche anno più tardi sarebbe diventato «l’eroe prescolare dell’intero pianeta».

Le sue storie hanno incrociato almeno una volta 2,6 miliardi di persone, tanto figli quanto genitori, con tassi di crescita che non smettono di galoppare; i suoi video su YouTube hanno superato i sette miliardi di visualizzazioni nel mondo, accumulando più di 220 milioni di ore di riproduzioni complessive soltanto in Italia, dove oggi fa compagnia alla metà delle famiglie. Praticamente tutte o quasi dove c’è un bimbo fino ai dintorni dei tre anni. Mikael Shields incontra Panorama negli uffici londinesi di Acamar Films, la sua start-up diventata impresa, uno studio creativo a pochi minuti dal fervente e decadente mercato di Camden. Le stanze sono una parata di giocattoli e libri dedicati a questa bizzarra icona pop per piccini, accanto a statuette lucide e ingombranti. Il posto d’onore spetta all’Emmy, il più importante riconoscimento al mondo conferito a un prodotto per la tv. Per Bing non è stato un colpo di fulmine, ma un innamoramento lento, uno di quelli che si scolpiscono nel cuore, mettono radici nell’anima: un’idea all’inizio sulla carta, fissata sulle pagine dallo scrittore Ted Dewan. Un’intuizione che ha dovuto combattere, se l’è dovuta vedere con altri 600 progetti concorrenti che Shields e la sua squadra intendevano trasformare in un cartone animato: «Eravamo come un organismo solo, un coro di pensieri con il battito all’unisono, lo stesso entusiasmo improvviso».

Fra i tre finalisti l’aveva spuntata anche Peppa Pig, l’altro esagerato blockbuster per giovanissimi, ma la decisione è stata di scartarla: «No, non me ne sono mai pentito. Nel profondo, Peppa è una commedia. Ha una sua ironia, però effimera, non può durare per sempre». Bing, invece, non scade in quanto universale: «Continuerà ad avere lo stesso fascino nel 2050, perché la valuta della sua narrativa sono le emozioni. Gli esseri umani sono stati gelosi, contrariati e innamorati per millenni. Suppongo continuerà ad accadere». Il protagonista, come il suo pubblico, è vivo all’ennesima potenza, sta tentando di capirci qualcosa: «È grande abbastanza da provare a versarsi da solo l’acqua in un bicchiere, a mangiare, ad avere interazioni sociali, ma non ha la padronanza di nessuna di queste cose. In ogni puntata ci sarà sempre un piccolo urto, una confusione, un’aspettativa delusa. E una reazione spropositata, ma normale per quell’età». Bing è la normalizzazione dell’imperfezione, la maieutica attraverso la ripetizione dell’errore, la drammaturgia dell’ordinario che è il quadro di riferimento per i bambini: «Ci aiuta a decifrarne le debolezze e a perdonargliele. Ricorda quanto possono essere tristi, terrorizzati, arrabbiati, strabiliati».

Mentre parla ai bambini, che lo guardano e riguardano allo sfinimento (nostro più che loro) perché confortati dalla prospettiva del lieto fine, dal subbuglio per i drammi minuscoli e dal contemporaneo sollievo per il loro superamento, Bing si rivolge agli adulti: «Li invita a far sì che i più piccoli seguano i loro istinti e vacillino». Senza nessuno che, con infastidita saccenza, gli punti un dito contro: Flop, nome che sa di caduta, stimola Bing a rialzarsi tutte le volte. È l’altro protagonista della serie, non un genitore, ma un angelo custode: «Posso dire» spiega Shields «che è l’incarnazione di Maria Montessori. Il suo metodo ci ha affascinati: i bambini devono poter essere liberi di cimentarsi con la loro volontà, intelligenza e curiosità». Attorno al progetto gravitano circa 600 persone tra scrittori, attori, animatori, educatori. Nel nostro Paese è stato scelto dalla Società italiana di pediatria e da Assonidi per incoraggiare i più piccoli, con contenuti ad hoc, ad adottare comportamenti orientati al benessere e alla salute psicofisica. Bing ha la credibilità e l’affidabilità per generare tentativi d’emulazione, mentre i più grandi possono prendere spunto da Flop: «È onesto, scrupoloso, accetta gli errori. Non mente ed è presente. Non lascia che i suoi occhi siano rapiti dal telefonino».

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