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«The Idol», il flop che tutti si aspettavano

«The Idol», il flop che tutti si aspettavano

La serie in onda su Sky non decolla e attira solo critiche e The Weeknd reagisce offendendosi. Intanto Jennie Ruby Jane al suo debutto come attrice potrebbe guadagnarsi una nomination agli Emmy

Quando Sam Levinson è subentrato alla direzione di The Idol, in testa deve essergli balenata un’idea: la possibilità di replicare il successo di Euphoria, di scandalizzare di uno scandalo che fosse feroce e arguto, e desse da pensare, non da ridere. Con tutta probabilità, Sam Levinson deve aver creduto di poter piegare la serie perché prendesse un effetto Kubrick, la violenza dirompente delle immagini, e penetrasse le ossa fino a diventare parte della memoria collettiva. Con certezza, Sam Levinson si è sbagliato. The Idol, attualmente in onda su Sky, si è rivelata tanto brutta e mal scritta da risultare comica, in quella maniera tragica che solo i prodotti malriusciti sanno avere. Negli Stati Uniti, il primo episodio dello show è stato visto da 913 mila spettatori. La notte in cui Hbo ha mandato in onda il secondo, il pubblico è calato del 12%. La terza puntata, pochi, inguaribili ottimisti la aspettano. Sam Levinson, creatore dell’acclamata Euphoria, è stato tacciato di qualunquismo: avrebbe riscritto la serie, cui per mesi aveva lavorato in qualità di regista la povera Amy Seimetz, perché fosse provocatoria. E, per farlo, avrebbe ignorato ogni elemento di realtà. Levinson, che The Idol ha co-creato insieme a The Weeknd, anche protagonista della serie, avrebbe storpiato la sceneggiatura della Seimetz fino ad ottenere altro: un cumulo di scene senza senso, eccessive, in alcun modo supportate da una scrittura adeguata o da un’esigenza scenica. E il risultato, che forse Levinson credeva sarebbe stato mistificato dal cumulo altrettanto senza senso di capezzoli e nudi, è stato miserevole.

La bruttezza di The Idol è stata tanto manifesta da diventare un caso internazionale. La versione britannica di Gq ha fin giurato che il secondo episodio dello show contenesse la «peggior scena di sesso mai girata nella storia». E tante sono state le critiche negative da indispettire, o così pare, lo stesso The Weeknd.

Il cantante, che nella serie interpreta un maschio tossico, amante violento di una popstar simil Britney Spears (Lily-Rose Depp), si sarebbe risentito. Offeso. Avrebbe persino pensato di rinunciare a produrre una seconda stagione della serie, sulla quale Hbo si sarebbe invece detta aperta. La rete, di solito fra le più note «spacciatrici» di serialità meritevole, avrebbe fatto spallucce di fronte alla demolizione critica di The Idol. Nemmeno si sarebbe detta preoccupata per gli ascolti in calo. «È stato riportato erroneamente che è stata presa una decisione su una seconda stagione di The Idol. Non è così, e non vediamo l’ora di condividere con voi il prossimo episodio», ha scritto su Twitter l’ufficio stampa di Hbo. Per mettere ordine, per placare le voci, per cercare di attenuare il malcontento dilagante, un malcontento figlio di comportamenti borderline. The Weeknd, cantante prima che attore, avrebbe trattato tutti a pesci in faccia. «Egomaniaco», lo hanno definito fonti rimaste anonime, mentre Lily-Rose Depp ha preso le distanze – pur educatamente – da quel suo atteggiarsi.

The Weeknd, di nuovo, ha rispedito le critiche al mittente, sostenendo di non essere stato capito. Non lui, non l’arte che ritiene aver messo nello show. Un grande misunderstanding. Questo sarebbe The Idol e il suo universo collaterale. E sia. Ma, mentre il mondo dello spettacolo ciacola e volenterosi individui si affannano per stabilire una verità che possa essere oggettiva (errore?, orrore?, cos’è infine tutto questo?), una domanda si fa largo, pressante e urgente: è davvero necessario produrre serie del genere? Cose che per essere (forse) capite e interpretate hanno bisogno di messi di processazione narrativa? Ed è davvero necessario scapicollarsi perché le sorti di questi prodotti siano redente da seconde, ipotetiche stagioni? Non sarebbe meglio arrendersi all’impossibilità di soddisfare i bisogni bulimici dello spettatore, il suo voyeurismo? Arrendersi e ripristinare quel meccanismo di salutare attesa che accompagnava un tempo la visione delle serie televisive? The Idol è un orrore, originato da un meccanismo ancor più orrendo: una fast-fashion della serialità televisiva, capi di scarsa qualità per portafogli (e menti) che si suppongono piccoli.

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