Ricostruita completamente dopo la Seconda guerra mondiale, la città polacca è un luogo dinamico che affascina anche i giovani. Con le vicine Sopot e Gdynia compone una triade di mete ricche di storia, di cibi da scoprire e di ancora altre sorprese.
Nuova lo è senz’altro, perché qui dopo la Seconda guerra mondiale erano solo macerie e il centro storico è stato ricostruito con gran gusto, recuperando le architetture dagli archivi e restituendo alle facciate il fascino di un’altra epoca. Ma Danzica, con il suo stile manieristico-fiammingo resuscitato accanto a barlumi d’echi gotici, non è un trionfo d’artificiale: appena in periferia ci sono ancora i palazzoni sovietici a zig zag, alveari di vita, serpentoni di cemento che ricordano i moti del mare. Il più lungo arriva a 864 metri, dall’inizio si scorge appena la fine.
Se la «gentrification» esonda nei nuovi quartieri, tra cartelloni che promettono gioie abitative e meraviglie di design, i giovani si ammassano negli scheletri del passato: i vecchi capannoni dei cantieri navali sono stati trasformati in ristoranti di street food, cocktail bar, gallerie di graffiti, arene di musica dal vivo, piste da skateboard e negozi di tatuaggi. Dall’ora di pranzo a notte inoltrata è un brulicare di trasgressione ammansita, di cultura underground sponsorizzata dalle multinazionali dell’alcol e del tabacco. Poco importa, le grandi gru arrugginite intente a vegliare sul traffico di anime sono uno spettacolo possente che, da solo, vale il viaggio.
«Danzica, con le sue tradizioni mercantili, è multiculturale e multiforme: ha la ricchezza dell’ambra, venduta in numerose botteghe; nasconde la casa natale del filosofo Arthur Schopenhauer ed esibisce la lunga e lenta passeggiata sul fiume Motława. È imprescindibile, come una visita al Centro europeo di Solidarnosc, museo-biblioteca dedicato al movimento che ha dato inizio allo smantellamento del sistema comunista a est della Cortina di Ferro» spiega Roberto Polce, giornalista, fotografo, traduttore, guida preparata e instancabile, da 20 anni in Polonia. È un’enciclopedia di fatti e aneddoti, con le giuste spigolature di leggerezza. Come l’assaggio del «Goldwasser», altro che la scontatissima vodka: un liquore dolce, con decine di erbe e scagliette d’oro galleggianti al suo interno. Nel 1598, quando l’hanno inventato proprio a Danzica, pensavano avesse effetti curativi. Oggi fa effetto su Instagram e un po’ sul cervello.
Sublimi a cena i pierogi, i ravioli locali, specie quelli ripieni d’oca, da affogare nella panna acida. Vanno mangiati accompagnati da una birra artigianale: tra le migliori del Paese c’è quella prodotta e servita da Brovarnia, anche in piccoli bicchieri, per esplorarne più gusti e conservare un barlume di sobrietà. Per pranzo, gli abbondanti piatti di pesce di Zafishowani danno l’energia per la successiva maratona di chilometri. Roberto Polce ha coniato il termine «Tricittà», perché non si può davvero cogliere lo spirito gedanese (da Gdansk, Danzica in polacco) senza viverla in abbinata a Sopot e Gdynia, che in tutto accolgono 750 mila abitanti e, insieme, sono uno dei centri più opulenti e vitali dell’intera Europa orientale.
A collegarli corre un treno frequente e veloce, così spostarsi da un punto all’altro risulta parecchio agevole. Ma prima di addentrarsi al loro interno sono meritevoli due deviazioni, entrambe in arrampicata: quella in ascensore, nell’ultramoderno grattacielo Olivia Star, che al 32esimo piano spalanca un terrazzo all’aperto da cui ammirare il panorama fino al Baltico trafficato di navi; la scalata pedonale sulle dune dello Słowinski National Park, il Sahara della Polonia. La sabbia soffiata dal vento ha sepolto interi paesetti di pescatori, oggi s’accontenta d’inghiottire cartelli segnaletici e soffocare gli alberi in una morsa di granelli.
Camminare scalzi fino in vetta è un baratto di poca fatica in cambio di un massaggio gratuito fino ai polpacci. Quasi superfluo aggiungere che il paesaggio, un caleidoscopio di bianco molle, del verde di boschi primordiali, del blu chiaro dei laghi costieri e di quello scuro del mare, si tramuta in un incanto stordente. Soddisfa la vista, mentre al gusto provvede, sulla via del ritorno, la zuppa servita in una pagnotta da Pałac Poraj, elegante edificio con arredi un po’ vintage, ma non stucchevoli, e una sala da pranzo presidiata da alcuni gatti tanto coccolosi quanto voraci.
Arrivati a Sopot, si è travolti dallo charme di una città balneare, con il molo in legno più lungo d’Europa, la passeggiata dove d’estate è obbligatorio esserci per farsi vedere. Quasi in riva al Baltico, ecco il Sofitel Grand Sopot, albergo pavonesco che sembra uscito da un film di Wes Anderson, i vecchietti immobili sulle panchine a respirare lo iodio, il centro per la talassoterapia, altre derive curative più contemporanee, come la fontana da cui, diluita, esce l’acqua del sottosuolo. Pare abbia doti taumaturgiche, ma la sua credibilità viene messa alla prova dal bar con gli arredi rosa in cui si va ad assaggiarla gratuitamente: il Mamma Mia Cafe. Meglio i piatti del vicino Fisherman Finest Food & Wine, dove abbinare ambiziosi vini polacchi, incluso uno champagne, a una cucina casalinga saporita, dalle presentazioni curate.
«Da noi si mangia benissimo a prezzi che sono la metà dell’Italia» sentenzia con grande pragmatismo Daniel Pawelek, per due anni consecutivi tra i ristoratori più quotati della Polonia secondo la rivista Forbes. Lo incontriamo a Gdynia, dove ha aperto Butchery & Wine, locale gemello di quello di Varsavia, in cui la carne di qualità e il buon bere sono protagonisti. «Gdynia» dice Pawelek «è la Cannes della riviera polacca». Forse esagera, ma comunque ogni anno ospita un festival del cinema, ha le spiagge, il fermento di una meta giovane, grandi navi museo ancorate al porto, un acquario e, più in là, un monumento dedicato allo scrittore Joseph Conrad. Un sognatore, come qualunque abitante di una città di mare.