E che continuerà a non esserci, grazie al ministro della Cultura Dario Franceschini che ne ha impedito la vendita al magnate ucraino Olexandr Boguslayev. Il progetto ora è trasformare la villa in un centro di ricerca statale. Bella idea, ma inattuabile.
Un amore improvviso. E costoso. Dopo essersi dimenticato la Gallinara per quasi 200 anni, lo Stato italiano si è comprato una villa per otto milioni di euro e promette di farci di tutto e di più. Sull’isoletta a forma di tartaruga a un chilometro e mezzo da Albenga e Alassio, in Liguria, vedremo un giorno una «sede espositiva», un centro di documentazione dedicato all’archeologia «sia terrestre che subacquea», un centro di ricerca, «una base logistica per future indagini archeologiche».
Tutto questo ben di Dio, comprando però dai privati solo la villa principale, senza sapere come arrivare dal mare al fabbricato, senza avere la proprietà dei terreni circostanti, senza che vi siano le condizioni minime di agibilità e sicurezza per i futuri lavoratori dell’ambizioso poliprogetto del ministero dei Beni culturali.
Il problema è che il ministro Dario Franceschini, quando ha esercitato il diritto di prelazione su pressione del centrosinistra ligure, aveva fretta. Tre giorni dopo la firma del decreto c’erano le elezioni regionali e, in un impeto di tardivo patriottismo, bisognava impedire che i privati italiani vendessero l’isola al miliardario ucraino Olexandr Boguslayev, con dentro sette ville, i resti di un convento, una chiesa, una torre di avvistamento della Repubblica di Genova e alcuni bunker della Seconda guerra mondiale.
Missione compiuta, nel senso che i suoi avvocati, il francese Yannick Le Maux e il torinese Alberto Cortassa, lo consiglieranno di investire i suoi 30 milioni altrove. Ma impresa che promette di diventare un piccolo Vietnam, tra ricorsi al Tar, richieste di danni, oneri di recupero e ristrutturazione, complicate trattative con i proprietari dell’isola per poter sfruttare la nuova villa di Stato.
Che l’isola sia piena di storia, anche se da due anni mancano acqua potabile, luce e allacciamento fognario, non c’è dubbio. Dal quarto secolo dopo Cristo, vi sono passati grandi personaggi della cristianità, da Martino di Tours a papa Alessandro III, ed è stata sede di un’abbazia. La chiesa è stata ricostruita ai primi del Novecento, ma ancora oggi l’isola è disseminata di panche scolpite dai benedettini e usate per la meditazione. Per secoli la Gallinara, chiamata così perché era popolata di galline selvatiche, è stata residenza dei vescovi di Albenga.
Nel 1866 la Chiesa se ne libera e la vende al banchiere imperiese Leonardo Gastaldi. Dopo vari passaggi di mano, sempre tra privati, nei primi anni Sessanta viene rilevata dall’industriale genovese Riccardo Diana, che costruisce la villa padronale e un porticciolo, oltre a ristrutturare vari fabbricati. Lui la Gallinara l’ha amata veramente. E questo nonostante nel 1947 il nome dell’isola si fosse legato a una delle pagine più nere della marineria italiana: una sera di luglio la motonave Annamaria urta un ostacolo a 100 metri dalla costa e s’inabissa in pochi minuti. Muoiono così 43 bambini milanesi tra i quattro e i 13 anni, in gran parte orfani di guerra.
Negli anni Ottanta, la Gallinara viene acquistata da alcune famiglie di industriali liguri e piemontesi, tra cui i cuneesi Stroppiana (gruppo Mondo, piste di atletica e giochi), e i Mogna di Novara (Probiotical). Dopo infinite dispute con i sindaci di Albenga, i privati decidono di vendere. Negli ultimi tre anni, del resto, la fruibilità dell’isola era peggiorata, anche se la società comune costituita dai proprietari, la Gallinaria srl, ha ottenuto le concessioni per il porticciolo e gli allacci, prevedendo però un investimento di quasi un milione solo per il ripristino dei cavi sottomarini.
A luglio, arriva l’offerta di Boguslayev, 42 anni, figlio di un magnate dell’industria aeronautica ucraina, che offre oltre 30 milioni per l’intera isola, lavori di ripristino compresi. Il 3 agosto, la notizia dell’affare esce sul Corriere della Sera, ma al di là della curiosità per questo miliardario che vive a Montecarlo, non desta particolare indignazione. L’isola è privata dal 1866 e quindi c’è poco da stupirsi. Ma monsieur Boguslayev non sa che nella Liguria cementificata senza ritegno lo speculatore lo fa il passaporto.
Raffaella Paita, presidente della commissione Trasporti della Camera, il 5 agosto chiede l’immediata nazionalizzazione dell’isoletta, nonostante sia una fedelissima del turbocapitalista Matteo Renzi. «Non possiamo permettere che non ci siano garanzie per il rispetto dell’isola, della sua storia e del suo ecosistema», avverte il mancato presidente della Liguria alle elezioni del 2015 «e chiediamo quindi al ministro Franceschini di compiere i passi necessari perché la proprietà dell’isola torni alla Stato (…) e i cittadini liguri possano avere la certezza di tornare a godere della Gallinara».
I cittadini liguri non ne godono da diversi secoli, ma, per carità, non è mai troppo tardi. Franceschini esercita il diritto di prelazione con il decreto del 17 settembre. Nonostante l’attivismo del sindaco Riccardo Tomatis sul «caso» Gallinara, ad Albenga il centrosinistra del giallorosso Ferruccio Sansa ha poi raccolto appena il 29,16% dei voti, contro il 65,5 di Giovanni Toti, attaccato per non essere intervenuto sulla vicenda.
Passate le elezioni, restano i problemi. Nelle sei pagine del decreto, l’isola viene continuamente chiamata «Gallinaria», perché al Mibact hanno studiato il latino. O forse perché, nella fretta, hanno semplicemente copiato la denominazione della società a responsabilità limitata che possiede l’isola. Il diritto di prelazione viene usato per comprare, a 8.013.952 euro, soltanto la proprietà della villa costruita da Diana negli anni Sessanta. La destinazione di questa spesa, che la Corte dei conti dovrà vagliare, è decisamente generica: si parla di uno «spazio espositivo» non meglio identificato, ma anche di un «centro di ricerca» dedicato al mare e di un «centro di documentazione sull’archeologia subacquea».
Tutte attività che richiedono la raggiungibilità della villa con servitù di passaggio, un accordo con la Gallinaria srl che ha in concessione il porticciolo e poi un progetto per la messa in sicurezza del complesso sia per i visitatori sia per ricercatori e i futuri dipendenti pubblici, presidio sanitario compreso. Sarà talmente complicato far fruttare questi otto milioni che sarebbe stato più logico espropriare l’intera isola, indennizzando i legittimi proprietari. Oppure, se davvero c’era un intento conservativo del patrimonio storico e culturale, il ministero avrebbe potuto comprare la torre del Cinquecento, la chiesa e i resti del convento, anziché una villa degli anni Sessanta.
In sostanza, è come se lo Stato avesse azzerato per decreto il valore di una srl privata e di diversi immobili, anche perché c’era un’offerta su sette case e non su una soltanto. Quanto al rischio di speculazioni edilizie paventato dai politici locali, ci si è dimenticati che l’isola è tutelata da anni dal vincolo ambientale.
E adesso che succederà? Franceschini ha scelto la strada dell’acquisto parziale e con una destinazione d’uso così improbabile e confusa che rischia di infrangersi di fronte al Tar, dove il decreto sarà impugnato. Tutti quei centri e quelle aree espositive che si immaginano nel provvedimento del governo potrebbero ben più agevolmente essere realizzati nella ex caserma del Car di Albenga.
Quanto ai milioni spesi per bloccare la «Gallinaria», avrebbero potuto essere usati per ampliare e ristrutturare l’ospedale di Albenga, che tra marzo a maggio è stato chiuso e trasformato in un centro per soli malati di Covid-19. Ma certo, mettere in fuga un pericoloso oligarca ucraino era impresa ben più eroica che ristrutturare l’ospedale cittadino.