Di norma considerata un crocevia (o retrovia) per raggiungere mete celebri come le Cinque Terre, Portovenere, Lerici o Tellaro, La Spezia sorprende chi decida di viverla, anche solo per un weekend, con occhi curiosi. È una città di mare e cultura, di tradizioni, di spirito contemporaneo, affacciata su un golfo spettacolare, che riempie il cuore di bellezza. Non è più il luogo grigio pieno di marinai e militari che ruotano attorno all’Arsenale, pur essendo questa una realtà e un orgoglio della provincia ligure al confine con la Toscana.
Spezia – così, senza l’articolo, come si dice in Liguria – ambiva addirittura a diventare Capitale italiana della Cultura, nel 2027. Ha le carte in regola, ma alla fine è stata scelta Pordenone: sarà per un prossimo giro, gli spezzini, dalle autorità al cittadino più umile, non si piangono certo addosso. Spezia vive un Rinascimento, a vari livelli: turistico, gastronomico, culturale, artistico. Usciti dal Museo Tecnico Navale, con la sala delle 28 polene lignee – sono gli «occhi del mare», cui Claudio Magris dedicò un libro – che trasmette suggestioni di avventure su velieri storici e tra onde perigliose, ecco la città.
A dimensione raccolta, tra vicoli, piazze e mercati, vi si respira l’autenticità ligure che altrove rischia di perdersi. Con sorpresa dei cittadini – dal carattere un po’ ruvido, come ci si aspetta da queste parti -, sono sempre di più i turisti che fanno domande, cercano un ristorante sul mare, compulsano guide cartacee o digitali, fanno risuonare le strade di lingue «barbare».
Secondo i dati del Comune, nei primi dieci mesi del 2024 le presenze turistiche hanno superato le 965 mila unità, con un incremento di oltre il 16 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023.
Spezia è cambiata come struttura socio-economica, era la città della marina, dell’industria navale e bellica. Il turismo era residuale, mentre le zone limitrofe, da Portovenere a Lerici, accoglievano l’élite dei viaggiatori, fin dall’Ottocento. Dagli anni Novanta è cominciato il cambiamento. Spezia è diventata città della nautica, oltre che hub delle Cinque Terre, Montemarcello, Tellaro, Lerici. In città c’è il cosiddetto Miglio d’Oro, con le cinque o sei industrie nautiche più importanti del mondo. La città vanta 12 mila posti barca, contando i porti vicini. La crescita di bar e ristoranti è incredibile, come la vivacità della vita culturale. Basta passarci una giornata per rendersene conto.
La «città grigia» – ma era un pregiudizio, una cattiveria – ha cambiato pelle. Resta la porta delle Cinque Terre, che scoppiano di turisti mordi e fuggi, ma proprio per questo c’è chi si accorge delle sue bellezze. Pernottare a Spezia, goderne l’offerta, poi spingersi in giornata a Vernazza o Monterosso, oppure a Portovenere e Tellaro – dove lo spirito di Mario Soldati è sempre presente -, costituisce una combinazione turistica vincente.
Ma dove mangiare, a Spezia città? Un ristorante eccellente è Andree, nel cuore del centro storico, in via San Martino della Battaglia. Fa parte di Teritoria, comunità di albergatori, ristoratori e viaggiatori creata dallo chef Alain Ducasse. Lo guida Andrea M. Besana, cuoco di esperienza e ambizione. Lumache e porcini, riso e muscoli, rana pescatrice al vapore, tagliolini con ragù di triglie fanno capire che una cena, qui, è una vera festa, che avrebbe entusiasmato Brillat-Savarin. Altro luogo della Spezia up-to-date è Harbour View, a Porto Lotti, con piatti consacrati al pesce e una vista da sogno sul Golfo dei Poeti.
Non perdete, se vi piace respirare storia locale, La Pia Centenaria, locale aperto dal 1887, tempio di pizza, farinata, castagnaccio e focaccia, il cibo da strada che mette d’accordo il ragazzo squattrinato con l’altospendente gourmet. Appena fuori città, ma con autentico spirito spezzino, ci sono luoghi da intenditori. Per esempio Osteria di Redarca, arrampicata su Lerici, con tavoli all’esterno nella bella stagione. Perfetta per scorpacciate (senza pretese di raffinatezze) di ravioli alle verdure, baccalà in varie maniere, pesce a miglio zero, testaroli fatti in casa.
E ora, a Lerici, prendiamo posto in quello che con ogni probabilità è il miglior ristorante della riviera spezzina: I Doria, sulla terrazza panoramica all’interno del Doria Park Hotel, struttura immersa nel verde, con vista romantica sul mare. Chef Riccardo Luvisi tenta il palato con uno spaghettone ai calamari da segnare tra i piatti della vita, come la zuppa di mare e galletta del marinaio (o, per i più terrestri, il rollè di coniglio alle erbe aromatiche).
E se un visitatore avesse voglia di «mesciua», la tipica zuppa a base di legumi e cereali? Deve andare all’inferno, ossia prenotare nel locale più antico di Spezia – Trattoria all’Inferno, appunto -, fondato nel 1905 e consacrato alla cucina locale: pasta al pesto, acciughe fritte, muscoli ripieni. Si mangia sottoterra (vicino ai diavoli con i tizzoni ardenti?), nelle antiche cantine diventate ristorante.
Chissà perché, a questo punto ci viene in mente l’epigramma di un grande autore umoristico, oggi dimenticato, ma saccheggiato da tanti: Gino Patroni, di Ameglia, scomparso nel 1992. Eccolo: «Mensa popolare. Una zuppa di verdura ed è subito pera». Patroni lo vergò nel 1959 e fece infuriare Salvatore Quasimodo, che si sentì preso per i fondelli con il détournement del verso «ed è subito sera» (per fortuna era già morto Cesare Pavese, sennò si sarebbe offeso per un altro epigramma del caustico spezzino: «Infarto in trattoria. Verrà la morte e avrà i tuoi gnocchi»).
Gli spiriti liberi figli di Spezia hanno avuto e hanno con la loro città un rapporto irriverente, che ne nasconde l’amore. Dario Vergassola, umorista di vaglia, degno erede di Patroni, una volta disse: «La Spezia è una città triste, ma così triste che Isernia al confronto sembra Las Vegas». Non è vero, ma ci piace concludere con questa battuta d’autore l’esplorazione di una città che, si dice con frase fatta, vale il viaggio.