La Libia divisa fra Putin e Erdogan
A seguito della crisi siriana, il rapporto tra Mosca e Ankara inizia a scricchiolare nel Paese nordafricano. Una situazione che potrebbe presto favorire un quadro di instabilità
La tensione in Libia rischia di salire. Mentre la Russia sta trasferendo nella parte orientale del Paese i suoi equipaggiamenti militari dalla Siria, il premier di Tripoli, Abdul Hamid Dbeibah, ha criticato Mosca. Interpellato sui movimenti russi, ha replicato: “Nessuna persona patriottica accetta l'ingresso di un Paese straniero e l'imposizione della sua egemonia, e non accetteremo l'ingresso di alcuna forza straniera se non tramite accordi ufficiali e a scopo di addestramento. Qualsiasi parte che entri in Libia senza permesso o accordo verrà combattuta, e non possiamo accettare che la Libia sia un campo di battaglia internazionale”.
Ricordiamo che, dal 2019, il governo di Tripoli gode sostanzialmente dell’appoggio della Turchia. Le parole di Dbeibah sono quindi da considerare attentamente ed è improbabile che siano state pronunciate senza un assenso da parte di Recep Tayyip Erdogan: quello stesso Erdogan che ha di fatto spalleggiato l’offensiva degli insorti siriani che ha portato all’abbattimento del regime di Bashar al Assad. Il problema, semmai, è come interpretare le affermazioni di Dbeibah. Vanno intese come una sorta dichiarazione di ostilità nei confronti della Russia e del generale Khalifa Haftar? Oppure è un modo per sollecitare un accordo locale con Mosca, sempre con il benestare di Ankara?
Non bisogna dimenticare che la Russia sostiene storicamente il governo orientale di Bengasi: un esecutivo con cui, nel corso dell’ultimo anno, il Cremlino ha rafforzato i legami nel settore della Difesa. Tra l’altro, quel governo si appoggia in buona sostanza sullo stesso Haftar, che gode a sua volta del supporto militare di Mosca. Per i russi, mantenere la presa sull’Est libico ha un duplice senso strategico: consente loro di irradiare la propria influenza sul Mar Mediterraneo e, al contempo, sulla regione del Sahel. Non a caso, nel corso degli ultimi due anni e mezzo, vari Paesi dell'area (Mali, Burkina Faso e Niger) sono entrati nell'orbita geopolitica di Mosca.
E attenzione: emerge un ulteriore elemento da considerare. Citando Africa Intelligence, la testata Libya Observer ha riportato che Haftar sarebbe rimasto scioccato dalla caduta di Assad. Un fattore, questo, che, se unito alle parole di Dbeibah contro Mosca, lascia intendere un possibile aumento della tensione nello scacchiere libico. Tutto questo, senza trascurare che, secondo Agenzia Nova, i servizi di sicurezza di Bengasi avrebbero appena arrestato una cellula di terroristi siriani che operava nell’Est libico: stando a quanto riportato da Libya Review, si sarebbe trattato di affiliati a Jabhat al-Nusra: organizzazione jihadista siriana da cui trae le sue origini Hts. Stiamo parlando, cioè, del gruppo islamista che ha recentemente preso il potere a Damasco con la benedizione de facto di Erdogan.
Insomma, la crisi siriana sta producendo impatti notevoli sulla Libia. Ed è al momento tutto da dimostrare che, nel Paese nordafricano, il rapporto tra il presidente turco e Vladimir Putin riuscirà a reggere. Dopo la caduta di Assad, lo zar si fida molto poco del sultano. Un sultano che, dal canto suo, sta cercando di “insidiare” Mosca anche nel Sahel: non a caso, si è recentemente proposto per mediare una distensione tra il Sudan e gli Emirati arabi uniti. La Libia va monitorata attentamente. La tensione interna sta crescendo. E questa non è affatto una buona notizia. Per tale ragione, la Nato farebbe bene a rilanciare urgentemente il proprio fianco meridionale.