Tiro al piccione: 3 cose da sapere sull'autobiografia di John Le Carré
L'autore de 'La spia che venne dal freddo' si confessa nel suo primo memoir, parlando di scrittura, famiglia e del suo passato di 007
Tiro al piccione rappresenta uno dei libri più attesi di quest'anno, perlomeno per gli appassionati di John Le Carré. Si tratta infatti della prima autobiografia dell'ottantaquattrenne scrittore britannico, in uscita l'8 settembre in lingua inglese (Viking) e dal 13 settembre anche in Italia per Mondadori.
Un libro che promette uno sguardo approfondito e sincero sul passato dell'autore di capolavori come La spia che venne dal freddo, Il sarto di Panama e di tanti altri indimenticabili romanzi di spionaggio. A breve distanza dalla pubblicazione, la stampa e la critica internazionali ne stanno già abbondantemente parlando, anche grazie alle ampie anticipazioni realizzate in questi giorni dal Guardian.
Solitamente schivo e riservato, David Cornwell (vero nome di John Le Carré) propone una collezione di ricordi che vanno dai suoi rapporti con i genitori fino all'intreccio tra vita e letteratura. Del resto le vicende personali dell'autore inglese con un passato di spia nei servizi segreti di Sua Maestà (MI5) hanno profondamente influenzato le storie che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.
Tiro al piccioneMondadori
Mancanza di affetti
Commuovono e fanno riflettere le sue confessioni riguardo alla propria famiglia. Le Carré parla di suo padre Ronnie, una figura irregolare sia durante l'infanzia che nella vita adulta. Così lo definisce l'autore “un truffatore, fantasista, e galeotto occasionale” (rimandiamo su questo tema a un altro suo libro interamente dedicato al padre: Ronnie, mio padre – Mondadori), che era anche uso picchiare sua madre Olive, scappata di casa quando il giovane David aveva solo cinque anni (e rincontrata all'età di ventuno). “Oggi”, scrive Le Carré, “non ricordo di aver provato affetto durante l'infanzia, a parte quello nutrito per mio fratello maggiore, che per un certo periodo è stato il mio unico genitore".
Da spia a scrittore
Appaiono ricche di dettagli le parti in cui Le Carré evidenzia la stretta connessione che c'è tra le sue esperienze di spia durante la Guerra Fredda, i numerosi viaggi intorno al mondo e la sua produzione letteraria, mantenendo fermo un concetto fondamentale: "Mi sento uno scrittore a cui a un certo punto è capitato di essere una spia piuttosto che una spia che a un certo punto si è messa a scrivere". Quel che emerge, comunque, è il fatto che la parola scritta per Le Carré ha sempre rappresentato il suo personale metodo per leggere l'attualità, i grandi eventi storici e i grandi personaggi (anche incontrati, come Yasser Arafat, Andrej Scharov, Alec Guinness o Rupert Murdoc) e comprenderne e restituirne la parte per lui più affascinante, ossia quell'aura di ambiguità morale e mistero che pervade in effetti ogni suo romanzo.
La genesi del titolo originale, “The Pigeon Tunnel”
Il titolo inglese del libro si riferisce a un club di tiro al piccione visitato quand'era ragazzo assieme al padre a Montecarlo. Gli uccelli venivano posti in un tunnel, dal quale uscivano uno alla volta diventando i bersagli dei tiratori. I superstiti tornavano sul tetto del casinò e quindi rimessi di nuovo nel tunnel. “Per quale motivo”, spiega Carré al Guardian, “questa immagine mi abbia perseguitato per così tanto tempo è qualcosa che il lettore può giudicare meglio di me”.