Toscanini, la bacchetta assoluta
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Panorama D'Italia

Toscanini, la bacchetta assoluta

Rivoluzionario sul podio, simbolo politico, italiano riconosciuto nel mondo: Panorama lo celebra al Guggenheim con Salini Impregilo

Fu un caso a portare sul podio Arturo Toscanini (1867-1957), una scena perfetta per un film americano: il direttore titolare che si arrabbia con gli indisciplinati orchestrali italiani e se ne va indignato lasciando la bacchetta al sostituto, subito contestato. Toscanini diciannovenne che accetta di allora di guidare i colleghi (era uno dei violoncellisti) e per la prima volta dirige. Un trionfo.

È il 1876, l'anno di nascita di un gigante del podio dal corpo smilzo e dal volto scavato. Anche l'anno di nascita di un "personaggio", perché il parmense riesce ad essere al contempo un'icona mondiale, un simbolo politico, un innovatore straordinario. Toscanini sta alla direzione d'orchestra come Pablo Picasso sta alla pittura o James Joyce alla letteratura contemporanea: segna una rivoluzione.

Non si può più tornare indietro. Harvey Sachs, musicologo e saggista americano è il più grande studioso del direttore, di cui quest'anno si celebra un doppio anniversario, i 150 anni dalla nascita e i 60 dalla morte. Ha firmato numerosi saggi, fra i quali una biografia del maestro (nel 1981) che l'anno prossimo sarà rieditata in forma ampliata dal Saggiatore.

Quando è nato il suo amore per Toscanini?
È una storia lunga... Io sono nato e cresciuto a Cleveland, città industriale ma con un'orchestra sinfonica fantastica. Leggevo libri su molti artisti e un giorno me ne capitò uno fra le mani dedicato a Toscanini. Avevo 13 anni, scrissi una lettera al figlio Walter e dopo un po' di giorni mi arrivò un pacco con dischi, programmi del maestro senza però alcuno scritto. Fui io a rispondere al dono con un'altra lettera. E da lì nacque un rapporto con la famiglia.

Studiandolo, cosa l'ha colpita di più dell'uomo Toscanini? E del direttore d'orchestra?
Una specie di rigore morale sia nella musica sia nella vita. Chiedeva molto a se stesso.

E anche agli altri. Celebri le sue sfuriate...
Ai tempi c'era poca disciplina nelle orchestre, fu lui a introdurla. Pretendeva, perché per lui alla musica si doveva devozione totale.

Ebbe anche il merito di mettere al centro la partitura originale
Sì, pose fine all'arbitrarietà. Prima di lui, molti interpreti consideravano la partitura una specie di abbozzo su cui inventare a piacere. È come se qualcuno volesse mettere i baffi alla Gioconda; ecco Toscanini non metteva i baffi a una sinfonia di Brahms.

Fu il primo direttore di fama mondiale: perché piaceva tanto?
C'erano stati altri grandi, però la carriera di Toscanini coincide con il periodo della radio e delle registrazioni discografiche. Fu il primo italiano ad essere diffuso in tutto il mondo.

Fu anche un'icona. Si guadagnò tre copertine di Time e una di Life. Adolfo Wildt, il grande scultore, gli dedicò un mezzobusto ora alla Scala.
Fu il primo italiano a dirigere anche i repertori sinfonici tedesco e francese. Si sentiva italiano, ma per quanto riguarda la musica, per lui non c'erano frontiere.

Aveva fama di sciupafemmine. Su quel fronte, il rigore venne un po' meno.
È vero. Però nel mondo del teatro, a quei tempi, si saltava di letto in letto tranquillamente. E lui non era da meno. Era il tipico uomo latino di fine Ottocento: la famiglia era una cosa sacra, però fuori dalle mura domestiche si poteva fare qualsiasi cosa.

Il nome di Toscanini è indissolubilmente legato alla Scala, con la quale non sempre il rapporto fu facile.
È nel 1908 che Toscanini lascia per la prima volta la Scala per andare al Met di New York: per lui, una grande sfida. Ritorna a Milano nel '20 però con il crescere del fascismo capisce che finché ci sarebbe stato lui sul podio, sovvenzioni da Roma non sarebbero arrivate. E nel '29 torna in America.

Toscanini ebbe anche il merito di far conoscere Richard Wagner.
Wagner era l'avanguardia durante la sua gioventù. A onor del vero, non fu il primo direttore ad eseguire opere del compositore tedesco.

Nel '46 la Scala, bombardata e distrutta durante la guerra, viene ricostruita con una colletta commovente di personalità e di milanesi anonimi. Toscanini diresse il concerto di riapertura. E tutta la città andò a sentirlo, chi dentro il teatro, chi in piazza e nelle vie adiacenti (le porte rimasero aperte, ndr).
In una lettera scrisse che si sentiva svenire. Era tale l'emozione di ritrovare il suo pubblico, il suo teatro, la sua Milano... Lui stesso aveva mandato diecimila dollari di allora per la ricostruzione e naturalmente non aveva chiesto né cachet né rimborsi di spese di viaggio.

La sua generosità è poco nota.
Aiutò tante persone e vari associazioni, diresse gratuitamente concerti per la Croce rossa, per Casa Verdi.

È vero che chiunque salga su un podio si debba misurare con il suo fantasma?
Toscanini ha gettato le basi di una prassi in orchestra e di un sistema di lavoro in teatro. Chiunque gli deve qualcosa. Per esempio, prima di lui non c'era alla Scala la buca dell'orchestra, il sipario, si poteva arrivare in ritardo... Credo che il doppio anniversario abbia fatto conoscere anche ai giovani questa straordinaria figura. E ora lo "incontreranno" anche gli americani, nell'appuntamento di New York.

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Stefania Berbenni