Truman al cinema, il lungo seducente addio – La recensione
Un magnifico film sulla fedeltà, la fiducia e gli affetti. Con due amici e un cane in un arco di sentimenti compreso fra divertimento e commozione
Il lungo addio. Ma Altman e Marlowe non c’entrano. C’entra invece Truman di Cesc Gay (uscita 21 aprile), cinquantenne autore barcelonés e talento emergente del cinema spagnolo. Con un lungo addio all’esistenza fatto di soffice disincantata leggerezza e policrome riflessioni sull’essere.
Truman è il nome d’un cane. Un bullmastiff quieto e generoso, paziente e malinconico. È il cane di Julián (Ricardo Darin), un attore argentino che s’è stabilito a Madrid dove recita in teatro. E che un giorno riceve la visita inattesa del suo amico di sempre Tomás (Javier Cámara), non argentino ma madrileno andato a fare il professore universitario in Canada.
L’incontro con la malattia
Il viaggio dal Canada nevoso alla Spagna non è breve ma solidamente motivato: Tomás ha saputo da Paula (Dolores Fonzi), cugina di Julián, che l’amico ha un cancro, non ha più molto tempo da vivere e ha deciso di smettere ogni cura. Così, a sorpresa, arriva alla sua porta, quattro giorni poi dovrà tornare indietro. Scoprendo un uomo che vuole soprattutto mettere in ordine il suo mondo, lasciare ogni cosa a posto coi modi di un personalissimo e non scritto testamento. Julián accoglie con felicità Tomás che presto diventa per lui irrinunciabile, insieme percorrono eventi importanti, dalla piccola quotidianità a qualche bevuta, alla ricerca di una famiglia rassicurante cui poter destinare Truman, al viaggio ad Amsterdam per il compleanno del figlio di Julián, che forse non sa ma capisce.
Una funzione simbolica
E via così. I due amici sembrano fra loro agli antipodi: incerto, quieto, imperturbabile Tomás; turbolento, istintivo, cinico, donnaiolo Julián. Eppure si ritrovano oggi come si sono sempre trovati in passato. Adesso, poi, in modo “speciale”. Perché il cinico mostra le sue debolezze nonostante il suo fatalismo beffardo; e l’incerto deve mostrare la sua forza serena ed equilibratrice. Tra loro due testimoni. Paula macerata dall’intento del cugino di smettere ogni terapia e dal destino inevitabile che lo attende; specialmente Truman dai grandi occhi consapevoli, obbediente e rassegnato alla necessità di trovarsi un nuovo padrone. Entrambi con una propria, specifica e simbolica funzione nel finale separatorio che sa di congedo, catarsi e continuità di sentimenti.
Humour e dialoghi sublimi
Triste? Neanche per idea. Il film, facendo vibrare corde differenti, trae incanto e ispirazione nell’armonia della sua dimensione insieme lieve e struggente, frivola e toccante. Nonostante il tema, non di rado si sorride, nell’attenzione quasi programmatica a mostrare il versante ironico degli eventi. Con humour, dialoghi sublimi, luci di diamante nei mille riverberi di un racconto che svaria e divaga su terreni e ritmi inattesi.
Emozioni “disciplinate”
Non la morte ma la fedeltà e l’amicizia brillano in questo universo mormorante e discreto. Dove non mancano, certo, passaggi toccanti e sensazioni forti, alcune scene stracciano il cuore piombando sulla storia all’improvviso, inaspettate come l’arrivo di Tomás dal Canada. Ma il flusso delle emozioni è disciplinato con molta attenzione e diligenza, starei per dire con cautela: la materia è delicatissima e la regia che la governa mostra di conoscere bene il confine tra il peggior melodramma e la miglior pratica della misura narrativa. Di qui la capacità seduttiva di un’opera che a momenti investe come un’onda: e, anche se fa di tutto per non commuovere, attenuando anziché inasprendo le circostanze più accese, lascia scorrere qualche furtiva e liberatoria lacrima.
I toni restano però sempre delicatissimi, privilegiando spesso certi aspetti paradossali o addirittura grotteschi della situazione, pure senza mai perderne di vista l’epilogo fatale: sovente proprio attraverso Truman, medium perfetto nel suo spessore di cane malinconicamente presago e destinatario, lo si vedrà, di una meravigliosa vivifica staffetta. Uno dei tanti motivi simbolici in un film che incanta come una favola senza mai staccarsi dalla realtà o incrinare la sua rigorosa tenuta drammatica.
Due grandi attori
Come è evidente, gran parte delle fortune di Truman risiede nella recitazione di Ricardo Darin che dà il volto a Julián e di Javier Cámara nella parte di Tomás. Difficile dire che sia il migliore fra i due meravigliosi attori e di certo non è necessario: rappresentano figure e caratteri tra loro diversi e distanti ma capaci di integrarsi compiutamente, tracciando nella finzione un profondo toccante capitolo sull’amicizia, sulla sottrazione materiale e la permanenza spirituale degli affetti, sulla fiducia. Sicché questo lungo addio diventa anche rapinoso e languido nella sua intima sostanza. Con qualche merito d’atmosfera anche nelle sonorità create da nomi importanti come Nico Cota e Toti Soler, con la collaborazione di un musicista come Javier Malosetti, chitarra avvolgente, esponente di punta nel blues rock jazz argentino.