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Armenia: silenzi, pace e contemplazione

Paesaggi ritmati da vette, laghi, foreste e grandi distese di prati si alternano a città storiche e monumenti antichissimi. Cronaca di viaggio in questa «terra di mezzo» delle dimensioni del Belgio, tra spiritualità, tradizioni, buon cibo e vino di qualità (è nato qui il più antico vitigno). Il tutto a prezzi low cost.

Trovare una destinazione di viaggio ricca di storia e di cultura, ospitale, sicura, conveniente e persino vicina sembra un’impresa impossibile. Invece esiste e si chiama Armenia, un Paese che in genere si è sentito nominare, ma è tutt’altro che conosciuto. Grande più o meno come il Belgio, anche collocarlo con sicurezza sul mappamondo non è impresa banale, eppure la sua posizione è già indicativa di alcuni suoi tratti distintivi. È circondata da vicini «cruciali», come la Turchia e l’Iran, la Georgia e l’Azerbaigian, con cui ha relazioni a dir poco complicate.

Dunque un Paese blindato e senza accesso al mare, che da sempre è costretto a difendersi, a proteggere la propria identità da invasioni militari e culturali, e per questo ancora più interessante. In questa «terra di mezzo» si notano tutti i segni dei lunghi periodi di dominazione, dai romani ai sasanidi, dagli arabi ai bizantini, passando per i selgiuchidi e arrivando al più recente legame con l’Unione Sovietica. Eppure l’Armenia ha mantenuto una sua solida e fiera autonomia che ben si evince da una lingua e un alfabeto molto diverso da quello dei vicini, ma anche dalla sua indipendenza religiosa. La Chiesa apostolica armena (è tra le più antiche comunità cristiane) non ha mai avuto bisogno di ottenere l’«autocefalia», ovvero un’indipendenza amministrativa da Roma, perché è stata praticamente autonoma fin dalla sua fondazione nel IV secolo. Questo frammentato e complesso legame con il passato è uno degli aspetti peculiari del piccolo Paese caucasico che, se da una parte teme chiaramente i nemici, è altrettanto aperto ed entusiasta di accogliere gli amici.

Chi viaggia in Armenia viene colpito immediatamente dall’ospitalità e dalla curiosità della persone. Nella caotica e dinamica capitale Yerevan, come negli arroccati villaggi tra le alte vette del suo territorio, capita spesso di essere approcciati con domande davanti a un bicchiere di vino, senza pericolo di essere spennati con trappole e speculazioni. In effetti i costi di una vacanza qui sono moderati, persino a buon mercato. Si può mangiare bene con 15 euro a persona e dormire in strutture più che dignitose per 80 euro a notte in alta stagione. Chi sceglie questa meta poco inflazionata lo fa essenzialmente per una vacanza culturale, mancano quasi del tutto divertimenti di altra natura, compresi, per fortuna, gite in torpedone, attività outdoor tra improbabili carovane di «quad», avventati voli in mongolfiera, parchi acquatici o discoteche diurne. Vince invece un turismo di contemplazione, a bassa voce, coniugato con panorami ritmati da montagne, laghi, foreste e distese verdi. Evitando gli orari canonici, anche in alta stagione le principali attrazioni sono visitabili senza file, a volte persino in solitudine.

Fatta eccezione per la capitale che concentra oltre un terzo dei 2,7 milioni di abitanti del Paese, la vita scorre lentamente. Una lentezza che predispone lo spirito ad accogliere al meglio le tante gemme incastonate in un territorio di montagna. L’altitudine media è di 1.800 metri, ma arriva a 5.137 metri il vero simbolo geografico del Paese, il monte Ararat, storicamente in territorio armeno fino al passaggio alla Turchia nel 1920. Un rilievo maestoso, quasi ipnotico, approdo dell’Arca di Noè secondo la Bibbia, che ruba lo sguardo in molti degli scorci più suggestivi, come quello che si ammira durante la visita del monastero di Khor-Virap. Risale al XVI secolo, è dedicato a San Gregorio Illuminatore, il fondatore della Chiesa armena, ed è un limpido esempio della suggestione di questi monumenti religiosi sempre costruiti in luoghi che rigenerano.

Due elementi sono una costante: la roccia e i panorami. La roccia dove sorgono questi monasteri sembra simboleggiare una incrollabile solidità di spirito; mentre i paesaggi si aprono allo sguardo, quasi incoraggiano a guardare sempre al futuro, qualsiasi cosa accada. È una calzante metafora del popolo armeno: risoluto, fiero, tormentato ma mai rassegnato e sempre pronto al meglio. Imperdibili i monasteri di Noravank, Tatev, Sevanavank, Sanahin, Haghpat e l’elenco è davvero lungo visto che se contano quasi quattromila. Ma uscendo dagli itinerari tradizionali merita una visita anche quello di Ziarat, il più grande per il culto yazida al di fuori dei confini iracheni. Ma le storie si incrociano di continuo in Armenia e una, affascinante, è Areni che sancisce l’indissolubile legame di questo territorio con la storia del vino. In questo sito archeologico sono state trovate le più antiche tracce della viticultura, risalenti a 6.100 anni fa. Sono di quel tempo i karas, vasi di argilla interrati dove erano conservati i vinaccioli della varietà Areni noir, ancora oggi uno dei principali vitigni armeni. Da questi si ottengono ottimi vini, che aziende quali Hin Arenì, Van Ardi e Trinity Canyon, producono con passione per riportare a nuovi fasti questi territori. Si possono scoprire, per esempio, nell’accogliente «In vino», locale di Yerevan gestito con entusiasmo dalla giovane proprietaria Mariam Saghatelyan. Impossibile lasciare l’Armenia senza aver assaggiato un piatto di tolma, involtini di carne avvolti in foglie di cavolo o di vite, e il pane lavash, la cui antica tradizione di cottura in forni interrati si cerca di preservare in villaggi remoti come quello di Tsaghkunk. Dove, finalmente, il viaggio riacquista un suo vero senso.

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Mark Perna

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