In parete con Buzzati
I ricordi dell’editore bellunese Bepi Pellegrinon e quel “dialogo segreto” con le impareggiabili Dolomiti
«Tra paesaggio ed editoria ho dato sfogo al forte attaccamento e al grande amore per la mia terra, l’Agordino, il mio paese, Falcade, e le mie montagne, ovvero le Dolomiti del Parco naturale di Paneveggio-Pale di San Martino».
“Avevo un amico che stimavo quanto meritava e che amava la montagna in tutti i suoi aspetti, segreti e anche no, un pò meno capace di avanzare sulla roccia verso il cielo e, al contrario, bravo più di me nel raccontare le sue esperienze verticali. Era alto circa un metro e settantacinque e aveva una quindicina di anni più del suo amico, alto uno e novanta. E una sera dopo aver parlato e discusso al lungo di fascino delle pareti, di bravura, di scalatori, di coraggio e di qualche sfortuna, i due amici decisero di dedicare ad uno storico colosso roccioso ventiquattro ore della loro quotidianità”.
Sono le parole con cui Rolando “Rolly” Marchi (1921-2013), ricordava Dino Buzzati, (1906-1972), giornalista, scrittore, intellettuale tra i più importanti del Novecento italiano: legato alla sua corda, avrebbero scalato la Croda da Lago, appena sopra Cortina D’Ampezzo, il 14 settembre del 1966, per quella che sarebbe rimasta l’ultima ascensione dello scrittore bellunese. Sì, proprio l’indimenticabile Rolly, l’inventore del Trofeo Topolino con il fraterno amico Mike Bongiorno (1924-2009), fucina di generazioni di campioni dello sci, quali Arnold Senoner, Helmuth ed Eberhard Schmalz, Teo Fabi, Gustav Thoeni, Ingmar Stenmark, Piero Gross, Mark Girardelli, Pirminn Zurbriggen, Alberto Tomba, Claudia Giordani, Deborah Compagnoni, Ivica Kostelic, Isolde Kostner, Cinzia e Wilma Valt. E poi ispiratore, sempre con il Bongiorno nazionale, del progetto “Azzurra” per la sfida della Coppa America di vela: fu l’avvocato Agnelli, entusiasta, a concedere loro il primo finanziamento di 600 milioni di lire. E poi, ancora, la prima gara di KL -il Kilometro Lanciato- sul Monte Bianco a Courmayeur, manifestazione diffusasi nel mondo intero, sino allo Slalom Parallelo di Natale al Passo del Tonale nel 1974.
(Dino Buzzati. Foto di Bepi Pellegrinon)
Panorama.it si è spinto sin nel cuore delle dolomiti bellunesi, nella splendida Falcade, per conversare con Giuseppe “Bepi” Pellegrinon, editore della “Nuovi Sentieri”, giornalista, scrittore, accademico del Club Alpino Italiano e già animatore del Gruppo italiano scrittori di montagna di cui è stato membro del direttivo nazionale: qui, nel centro abitato più grande della Valle del Biois, in una conca soleggiata a 1100 m s.l.m., si apprezzano alcune delle più belle vette dolomitiche, come il Gruppo del Focobon, le Pale di San Martino, la Marmolada e il Civetta. Nel ricordare Dino Buzzati, avverto Pellegrinon, classe 1942, commosso: alpinista e sindaco di Falcade per due legislature tra il 1990 e il 2000 e assessore provinciale, storico dell’alpinismo dolomitico, il “Bepi” è una delle personalità più in vista nello scenario culturale delle Dolomiti. Da patron della Nuovi Sentieri Editore, casa editrice “dolomitica” sorta nel 1971, continua a diffondere una grande scommessa culturale, sentimentale ed editoriale: la definisce, semplicemente, «la convinta iniziativa di un trentenne mosso dal forte attaccamento e dal grande amore per la propria terra, l’Agordino, il proprio paese, Falcade e le montagne, ovvero le Dolomiti». Bepi è autore di una cinquantina di pregevoli opere letterarie, nonché di studi, ricerche e articoli apparsi su giornali e riviste nazionali e internazionali che gli hanno procurato significativi riconoscimenti, dal Filmfestival di Trento al Cardo d’argento al Premio Itas del 1994 con l’opera sulle Pale di S. Martino, pubblicata da Zanichelli. E, ancora, il Pelmo d’Oro nel 2002 e il distintivo d’oro di cui è stato insignito dalle Guide di S. Martino di Castrozza nel 2005, per la grande attenzione riservata alla Pale di S. Martino; sino all’iscrizione all’Albo d’Oro della Magnifica Comunità di Cadore per l’opera di diffusione della cultura della vallata. Affermato alpinista mezzo secolo addietro, giornalista, profondo conoscitore della storia e del folclore locali, Bepi Pellegrinon ha compiuto i primi passi editoriali in tale direzione, avendo come obiettivo principale la scoperta e la salvaguardia, la valorizzazione e la divulgazione dell’ingente patrimonio culturale della montagna e della sua gente, per anni concentrato tra le pagine di una sua creatura editoriale, “Montagna. Rivista quadrimestrale di cultura alpina”.
Bepi, siamo ai piedi delle Dolomiti di Buzzati!
«Ho sempre sofferto il rammarico di non aver coltivato nel giusto modo il rapporto con Dino Buzzati, lo scrittore della mia terra bellunese. Nei primi tempi della mia attività alpinistica, che iniziava, purtroppo, quando quella di Buzzati si stava concludendo, dedicata in gran parte ai monti della mia valle, scoprivo spesso inseriti negli ometti delle cime del Focobon i “passaggi” del grande letterato. Mi sentivo allora onorato di questa predilezione per la porzione di montagne che fanno parte delle Pale di San Martino (che consideravo le “mie montagne”) e ne rappresentano l’estremità della catena settentrionale, quella più severa e negletta, “un posto meraviglioso sotto a uno schieramento di picchi”».
Un interesse crescente quello di Buzzati per le sue montagne.
«Documentato da almeno tre visite: una ancora negli anni Venti, la seconda nel 1946, la terza, quella più corposa, svoltasi nel settembre del 1949 in compagnia della guida Gabriele Franceschini in quel vallone che descrisse come “spettacoloso con dinanzi una sfilata di torve e precipitose pareti: tra l’una e l’altra si innalzano ripidissimi canaloni di ghiaccio in cui giorno e notte, a intermittenza, continuano a scrosciare sinistramente frane di sassi”. Era affascinato da queste rocce, cui dedicò anche l’ex voto della “Bella Listilina” con i ronfioni del Focobon ma anche con quella stupenda rappresentazione dei Campanili dei Lastei, slanciati verso l’infinito».
E fu amore a prima vista…
«Le Dolomiti, montagne la cui dimensione è l’eternità, avevano ripagato generosamente l’amore e la fedeltà, donandogli la sua voce affinchè essa, trasfigurata con l’ispirazione della fantasia dell’amico cittadino, assumesse umana consistenza nella sua opera».
A questo punto ci racconti del suo primo incontro con lo scrittore!
«Al Passo del Tonale, nel 1965, in occasione di un raduno del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna: parlammo a lungo al Passo Paradiso, fra una sciata e l’altra di Dino, in compagnia anche di Severino Casara. La mia attenzione era continuamente rivolta al periodo delle sue ascensioni e stimolai la sua fantasia accennandogli anche all’incontro sulla vetta con un minuscolo topolino che mi stette a guardare per tutto il tempo che vi rimasi, senza paura alcuna. Avevo finalmente conosciuto il grande Dino Buzzati, del quale avevo anche letto qualche libro. La sua figura e personalità mi parevano però già famigliari perché tanti amici me ne avevano parlato, a cominciare da Mario Jori, Piero Rossi, Bepi Mazzotti, Valerio Quinz».
E poi un giorno se lo ritrovò a Falcade, nel suo splendido villaggio…
«Era in compagnia di Rolly Marchi grande personaggio del mondo della montagna e dello sport. Parlammo a lungo del Focobon e di altre montagne. Li portai su una delle frazioni alte del paese per avere una visione esaustiva della “nostra” montagna. Volle che gli facessi uno schizzo di come si presentavano, sull’altro versante, i Campanili dei Lastei. Al momento del commiato, Dino si fece porgere da Rolly un plico che aveva portato per me: era un suo disegno originale».
La sua parabola umana era al tramonto…
«Lo rividi ancora una volta, nel settembre del 1971, nella sua Villa di San Pellegrino, suo paese natale: la malattia era ormai avanzata e mi parve molto affaticato. Ero in compagnia dello scultore Augusto Murer che voleva un testo critico per la grande mostra che avrebbe fatto l’anno seguente alla Besana di Milano. Buzzati accennò al suo stato di salute ma non rifiutò l’impegno; con l’aggravarsi delle sue condizioni non gli fu però possibile mantenere la promessa».
Qualche rammarico?
«Ripensando a Dino ho il rammarico di questo rapporto incompiuto, non “formalizzato” da un’ascensione o da un libro, ma il ricordo della sua modestia, del suo ingenuo candore e della sua bontà, uniti al suo valore di uomo e artista, restano fissi nel patrimonio di cultura e di umanità che mi sono costruito nel corso della vita».