«Robot e droni per salvare i nostri vigneti»
I cambiamenti climatici di questi ultimi anni ci impongono delle riflessioni, tanto più in agricoltura. Il mondo del vino si sta interrogando su come evolvere le proprie tecnologie per evitare che agenti atmosferici incidano sulla qualità e sulla quantità delle uve e quindi dell’annata.
Ne parlo con il prof Andrea Mazzoni e l’agronomo dott. Giacomo Baffetti, consulenti di importanti aziende toscane.
Vista la consolidata teoria dei cambiamenti climatici che non sembrano più arrestabili, cosa dobbiamo aspettarci dai prossimi anni nel mondo del vino?
«"Il clima sta cambiando” uno slogan che ci sentiamo ripetere da molti anni. Nei primi anni del nuovo secolo, sotto il profilo climatico è avvenuto un po’ ciò che avvenne nella realtà sociopolitica dopo la prima guerra mondiale, la rivoluzione di Ottobre e dopo la Spagnola: tutti quegli equilibri e consuetudini che si erano consolidati in secoli, furono ribaltati improvvisamente. Gli avvertimenti ci sono stati e continuare far finta che tutto possa procedere come prima, non giova certamente a favore degli operatori del settore. L’atteggiamento non potrà più essere né quello di mera rassegnazione contemplativa né quello di minimizzare i danni; purtroppo il problema c’è e deve essere affrontato. Come asserisce Ernesto Abbona, presidente Uiv: “Nella filiera vino serve un cambio di visione».
Come si dovrebbero prepararsi le aziende ad agenti atmosferici avversi con i quali dovremo convivere?
«Esistono metodi indiretti, tipo Polizze Assicurative Multirischio, finalizzate ai vigneti già impiantati, in grado di garantire non solo dai danni delle gelate più o meno tardive, ma anche da altri danni che i cambiamenti climatici ci propongono sempre con maggiore frequenza, come le conseguenze di grandine, siccità, ustioni solari, ecc. I metodi diretti per prevenire tutti gli eventi atmosferici, proponibili solo sui nuovi impianti per gli alti costi di ammortamento, possono essere gli impianti polivalenti, le nebbie artificiali con i fornelli o i bruciatori, i fumi, l’impiego di ventilatori posti al di sopra delle chiome, l’irrigazione antibrina, l’utilizzo di varietà a germogliamento tardivo quali Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Trebbiano toscano o la potatura ritardata invernale anche se difficile da praticare per aziende molto estese. L’utilizzo di idonei sistemi di allevamento utilizzando allevamento a tralcio rinnovato, tipo Guyot, nel quale le 4-5 gemme basali del capo a frutto, grazie alla dominanza apicale, germogliano in ritardo rispetto a quelle apicali e permettono pertanto di sfuggire alle prime gelate. Per quanto riguarda i problemi legati a danni da scottature solari e grandine si può ipotizzare l’utilizzo di strumenti ombreggianti o antigrandine e l’utilizzo del caolino ecc.. Inoltre, anche se la vite è una pianta che dà il meglio laddove non le siano forniti nutrienti e acqua in abbondanza, le mutate condizioni climatiche in cui ci troviamo oggi ad operare, obbligano anche ad una rivisitazione della tecnica irrigua, per ora purtroppo molto spesso trascurata».
Nel Recovery plan si parla di green, innovazione, ambiente, tutti questi fondi daranno una mano anche al mondo del vino o resterà un libro dei sogni?
«C’è tutto il capitolo del green dove già il mondo dell’agricoltura negli ultimi tempi, in particolare il mondo della viticoltura, si sta convertendo alla gestione biologica e ad un maggior rispetto del suolo e quindi dovrebbe trovare vantaggi. Va legato l’impatto che l’attività agricola ha con l’ambiente, riducendo l’utilizzo di prodotti di sintesi e contenendo l’erosioni superficiali (ad esempio attraverso l’inerbimento), mantenendo allo stesso tempo un adeguato livello di sostanze organiche. Il tutto finalizzato ad avere un ambiente equilibrato e vivibile».
Tradizione o innovazione, cosa conta di più adesso?
«Non possiamo dimenticare la tradizione, ma allo stesso tempo questa non può essere un fattore limitante all’utilizzo di nuove tecnologie che servono da una parte a contenere i costi produttivi e dall’altra a migliorare i risultati sia qualitativi che quantitativi».
Tra quanti anni possiamo immaginarci i droni in vigna?
«Noi si utilizzano già ora normalmente, sia nella fase progettuale, nel momento in cui si vanno ad impiantare nuovi vigneti, sia nella gestione giornaliera per verificare la situazione vegetazionale e pertanto operare con interventi mirati. In alcune parti del mondo già operano con robot che consentono di monitorare l’evoluzioni delle malattie con una verifica a distanza».
Quindi la Toscana culla dei grandi vini è all’avanguardia su tutto?
«Sotto il profilo produttivo sicuramente abbiamo fatto passi da gigante allineandoci con le altre zone vitivinicole blasonate; ancora c’è molto da lavorare per quanto riguarda comunicazione, marketing e commercializzazione, per evitare un imbuto finale che potrebbe fare da freno e diventare un fattore limitante soprattutto per le piccole e medie aziende. Si rischia di fare delle belle produzioni ma non si fa impresa, in quanto non si creano utili finali reali».