San Nicola Arcella, natura selvaggia a picco sul mare
Un arco naturale, una torre, un antico palazzo…
Un naturale punto di osservazione, incastonato nella Calabria nord-occidentale, da cui lo sguardo abbraccia tre regioni, tre provincie, tre parchi nazionali, in un susseguirsi rapido di strapiombi, di calette, di spiagge sabbiose, sotto lo sguardo di monti che balzano fino a toccare i duemila metri d’altezza.
«Il primo nucleo di questo centro urbano risale al XV-XVI secolo e fu costituito da gente di Scalea che per sottrarsi alle incursioni e alle razzie dei Mussulmani si rifugiò su questo altopiano, inaccessibile dal mare e lontano dai centri abitati che erano obiettivo principale dei pirati; quando poi nel XVIII secolo il Principe Scordia Pietro Lanza Branciforte, avendo sposato Eleonora -ultima erede degli Spinelli di Scalea- divenne il principe di tutto il feudo e alla contrada Dino fece costruire come residenza estiva il grande Palazzo, i suoi coloni -insieme con gli antichi abitanti che erano soprattutto dediti alla pesca- costruirono il primo regolare nucleo urbano, cioè il primo Casale che prese il nome di Casaletto: erano le case della corte e il nome è ancora attribuito alla parte bassa dell’attuale paese».
Eccole, nella descrizione del 1970 dell’illuminato sindaco-filosofo di Praia a Mare, Giuseppe Guida, le origini moderne di San Nicola Arcella, uno dei simboli più conosciuti della Calabria turistica, grazie alle sue innumerevoli bellezze paesaggistiche che gli hanno fatto meritare apparizioni sulle più autorevoli riviste italiane di turismo ed ambiente, da Bell’Italia a Meridiani. Posto a circa 110 metri di altezza, con meno di duemila abitanti, il territorio regala scorci di grande impatto visivo: le spettacolari prospettive dell’insenatura del porto naturale e dello sperone roccioso su cui si erge la Torre Crawford, dello scoglio Scorzoni, della grotta dell’Arco Magno, dell’intera linea di costa che va a tuffarsi nella azzurra baia del Carpino, e dell’intero panorama del golfo di Policastro, sono tutte immagini ben note non solo ai residenti, quanto -soprattutto- ai tanti turisti che dagli anni Sessanta l’hanno scelta come meta di soggiorno estivo.
«Una piccola spiaggetta e nel mare un isolotto, alto una decina di metri con in cima ciuffi di erica, di mirtillo e di lentisco e poco più avanti la costa si apre con un grande arco roccioso macchiato di verde: è l’entrata alla Grotta dell’Arcomagno (…). Il mare si restringe verso l’antro, si condensa a destra e a sinistra in un azzurro denso e passa sotto l’arco naturale a sesto quasi acuto per sfociare a slargarsi in una conca ad anfiteatro che ha sopra di sé per cupola una calotta di cielo».
Nella descrizione di Guida, ecco la forza esplosiva della natura dove roccia, sabbia e mare continuano a rincorrersi in un moto perpetuo di colori e profumi che soprattutto nei mesi meno affollati regala incredibili emozioni: come la sorgente di acqua dolce, la cui temperatura, anche nella calura estiva, farebbe pensare di trovarsi ben più in alto del livello del mare; come l’antica mulattiera che collegava il centro abitato con il resto del territorio, che passa proprio sopra l’arco; o come l’accecante gioco di luci e colori che attende proprio uscendo dall’Arcomagno…
«E si offre allo sguardo in tutta la sua ampiezza la spiaggia lunare di S. Nicola, un’insenatura di circa un chilometro che il torrente Canalgrande, con uno scoglio che affiora dalla sabbia, divide in due settori: a Marinedda la chiamano i sannicolesi e su di essa si affaccia beato dal poggio sovrastante l’abitato… essa comprende a sud l’insenatura naturale dell’ antico porto, protetto dalla lingua di terra su cui sorge la torre di difesa… il luogo è suggestivo e seducente e chi lo vede anche una volta lo ricorda sempre e sente nell’animo il rimpianto».
Quale descrizione migliore per la baia che incanta in estate, quando il mare calmo e le centinaia di imbarcazioni ancorate, regalano magiche prospettive, o incute rispetto in inverno, con i marosi che sembrano non avere rispetto per la possente bastionata.
E che dire della Torre, dove lo scrittore statunitense Francis Marion Crawford (1854-1909) passò parte della sua vita scrivendo romanzi e saggi storici, prima di approdare in Campania, ultima tappa della sua esistenza.
«Un dandy cosmopolita che sul declinare dell’Ottocento si stabilì a Sorrento, eleggendo nello stesso tempo a dimora secondaria l’antico fortino a guardia della scogliera di San Nicola Arcella, quasi ai confini nord-occidentali di Calabria e Basilicata. Qui maturarono numerosi racconti fantastici, spesso ambientati proprio in Calabria, nonché l’opera che ci interessa, “The Rulers of the South- (I governanti del Sud, nda) nella quale Crawford interpreta la storia del Mezzogiorno come una catena di dominazioni, dai Romani ai Bizantini ed agli Arabi, dagli Angioini agli Aragonesi, agli Spagnoli, ai Francesi». Lo ricorda così ne “Il Sud degli altri, frammenti di una visione storica” (Philobiblon, Ventimiglia, 2002) Saverio Napolitano, diretto a rintracciare nella ricerca storica di Crawford alcuni punti in comune tra queste diverse dominazioni.
Ma chi era questo eccentrico scrittore d’origine americana, ben visto nell’alta società del suo tempo, acclamato nei salotti romani per la sua fama di abile affabulatore? Nato in Toscana (Forte dei Marmi o Bagni di Lucca…) il 2 agosto del 1854, suo padre Thomas era noto come lo scultore che aveva concepito le porte bronzee del Senato americano e la “Libertà armata” posta sulla cupola della sede dell’autorevole rappresentanza politica americana: era stato educato al prestigioso Trinity College di Cambridge poi a Karlsruhe e Heildeberg, riconosciuti centri della cultura europea del periodo ed a Roma, dove approdò per approfondire lo studio della cultura classica: anzi, da instancabile viaggiatore, cittadino del mondo, amante appassionato della lingue, come viene descritto, si stabilì nella nostra penisola nel 1883 per conoscere da vicino la culla della civiltà classica. Poi ancora viaggi in India, in America, il tutto contornato da una imponente produzione letteraria che lo avrebbe portato, in un venticinquennio, a raggiungere la ragguardevole cifra di quaranta titoli, tra romanzi, racconti fantastici, scritti filosofici.
Nel 1887, in viaggio in Calabria, aveva notato la possente torre costiera nella baia di San Nicola Arcella risalente al periodo di Carlo V e l’aveva acquistata, iniziando a vivere in simbiosi con il luogo: «di questa regione fu entusiasta -racconta aneddoticamente Napolitano- se è vero che ne imparò tanto bene il dialetto da trarre in inganno persino la gente del posto e trascorse lunghi periodi a San Nicola Arcella: in questo fortino Crawford trovò la concentrazione per alcune sue opere, tra cui “The Rulers of the South. Sicily, Calabria, Malta” che è significativa non solo perché rivelatrice della curiosità storico-sociale per la Calabria e la Sicilia da parte di Crawford, ma anche per ragioni affettive, dal momento che fu elaborata a San Nicola Arcella». Ben al di là del dato paesaggistico ed ambientale che aveva affascinato un’intera generazione di viaggiatori mitteleuropei ed anglosassoni, pronti ad affacciarsi sulle acque del Mediterraneo, l’opera di Crawford possiede un impatto storico-sociologico ed economico di primissimo piano. Intanto il Comune avrebbe raggiunto l’autonomia nel 1912, dopo essere stato frazione di Scalea: lega il suo nome al protettore e patrono S. Nicola da Tolentino verso cui gli abitanti hanno una profonda venerazione, espressa sia nella Chiesa ubicata nel caratteristico centro storico che in una tipica chiesetta che gli antichi marinai gli dedicarono al porto, oggi scomparsa: «il Santo -dicono i sannicolesi- li protesse nei tempi tristi dalle incursioni e dalle razzie dei turchi e allontanò nel 1806 i francesi che volevano assalire il paese: da allora il paese di Casaletto “ebbe l’onore altissimo” -dice un illustre figlio- di battezzarsi S. Nicola Arcella, (Arcella da arx-arcis, = sommità, cittadella, rifugio, asilo)», chiosava Giuseppe Guida.
La posizione panoramica, l’osmosi costante con il caratteristico habitat naturale e gli sforzi della comunità locale, fanno del borgo un ideale centro di soggiorno che chiude -proprio grazie al suo imponente promontorio- l’ampia insenatura di quel golfo di Policastro che qualche chilometro più a nord-ovest, dal salernitano Capo Palinuro, offre la singolare caratteristica di una triangolazione di sguardi di tre Regioni…