Cosa vedere in Perù, il Paese delle montagne incantate
Macchu Picchu (Venus Hasanuzzaman Kamrul)
Viaggi

Cosa vedere in Perù, il Paese delle montagne incantate

Un sito archeologico noto in tutto il mondo protetto dall’abbraccio di una foresta tropicale. Cime color arcobaleno, canyon sorvegliati dai condor, il lago navigabile più alto del pianeta. Reportage tra i misteri della civiltà Inca e i paesaggi delle Ande.

da Lima

Qualcuno se la cava con un forte mal di testa, altri con un ubriaco stordimento, una nausea confusa e intermittente. Pochi sono immuni, tanti si curano con un mix di farmaci occidentali e rimedi locali: su tutti le foglie di coca, da masticare, sciogliere nell’acqua fumante, succhiarne via il sapore da caramelle amarognole. Si trovano ovunque, costano niente, sono legali e no, non c’entra la droga: serve un processo chimico per renderle cocaina, danno giusto qualche botta di lucidità precaria nel torpore generale.

Il mal d’altitudine, che poi è fame d’ossigeno, è l’unico effetto collaterale del Perù: un agguato ai polmoni, al cervello, allo stomaco e ai sensi, che s’insinua nel cuore e nelle viscere. Resiste dopo il rientro a casa, diventa una profonda, innamorata nostalgia. Perché le Ande saranno ricordi per sempre, sono poesia sopraelevata. Una sinfonia di bellezze ad alta quota, gli antipodi della monotonia: ecco Vinicunca, la montagna dove l’arcobaleno si è immerso nella roccia e proietta colori su gobbe docili e appuntite; ecco il lago Titicaca, che sconfina in Bolivia e sembra un mare fuori posto: giganteggia a 3.800 metri ed è il bacino navigabile più alto al mondo. Qui, su isolotti artificiali costruiti con piante acquatiche, tra capanne di paglia abitate da conigli, resistono gli Uros, comunità pre-Inca che sopravvive grazie al turismo: ai visitatori sono offerti ospitalità in alloggi di fortuna, brevi giri su barche precarie abbastanza pacchiane, manufatti a prezzi fissi realizzati - lo giurano le donne del posto - con «mucho trabajo», molto lavoro.

La città di Puno vista dal Mirador El Condor (Venus Hasanuzzaman Kamrul).

In Perù, l’alto svetta e scende nel sottosuolo, collezionando primati: il canyon del Colca è profondo fino a 2 mila metri e viene costantemente sorvegliato da fieri condor, mastodonti con le ali, tra gli uccelli più grandi del pianeta per coerenza con il contesto da record. Una fitta foresta tropicale protegge Machu Picchu, la tappa più ambita, la cittadella Inca così ben conservata e, fino a circa un secolo fa, sconosciuta.

Oggi fa parte del patrimonio dell’umanità secondo l’Unesco, è tra le meraviglie del mondo moderno e la meta di un incessante pellegrinaggio a caccia dello scatto perfetto per Instagram. Le guide sanno indicare i punti strategici per quella che chiamano, al singolare e con rassegnato pragmatismo, la foto da cartolina.

Obbligatorio prenotare i biglietti con mesi d’anticipo e studiare nel dettaglio cosa si vuole vedere, perché il Governo ha contingentato gli accessi e introdotto una sequenza interminabile di pacchetti-rompicapo per veicolare i flussi. Il consiglio è arrivare all’apertura, prima dell’alba, per guardare le rovine accendersi di luce tra le montagne incantate, mentre l’area è esclusiva di spocchiosi lama ruminanti e teneri piccoli alpaca. Gli stessi da cui, tosandoli, si ricaverà la lana pregiata usata per maglioni, poncho e altri avvolgenti, spesso esageratamente costosi souvenir.

Ridurre il Perù a una salita a Machu Picchu è un ingenuo difetto di prospettiva: agli ultimi World Travel Awards, gli oscar globali del turismo, è stato premiato come la principale destinazione culturale al mondo per la presenza di oltre 5 mila siti archeologici, tanti ancora avvolti dal mistero. Come lo scioglilingua Sacsayhuamán, pronunciabile giusto con la scorciatoia idiota «sexy woman», dove contorcersi la mente ammirando l’inspiegabile perizia degli Inca: sapevano intagliare e incastrare tra loro enormi blocchi di pietra, nemmeno fossero leggerissimi pezzi di un puzzle tridimensionale. A secco, senza antenati del cemento o collanti simili.

Nonostante varie ipotesi (calore per plasmare le forme o sostanze per ammorbidire la roccia), non c’è certezza assoluta di come abbiano fatto a edificare i templi, le case e le altre tracce di una civiltà ammantata di spiritualità e magia.

Il Paese sudamericano può sembrare impervio, invece è ben accessibile: tutte le attrattive citate fin qui sono a una distanza ragionevole da grandi città, collegate tra loro da voli interni o trasbordi in autobus. Le tappe imperdibili sono Arequipa, Puno e l’indimenticabile, seppur troppo turistica, Cusco, da cui si prende il treno per Machu Picchu.

Il sito Peru.travel è una miniera d’informazioni e itinerari, mentre operatori come Evaneos.it aiutano a organizzare un viaggio su misura, con guide in italiano e una pronta assistenza per qualunque necessità.

La capitale, Lima, è il punto d’ingresso, un cuscinetto per smaltire il fuso orario. Oltre a un’escursione nel centro storico (il convento di San Francisco affascina, i suoi sotterranei pieni di teschi umani invadono gli incubi notturni), i distretti di Miraflores e Barranco meritano una passeggiata e un bicchiere di Pisco alla sera.

A Lima si apprezza l’altro talento del Perù: è tra le migliori mete gastronomiche al mondo. Maido, con le sue influenze giapponesi, è il quinto ristorante nella prestigiosa lista 2024 dei «The World’s 50 Best». Central era arrivato primo nel 2023. Ma se non si vuole prenotare ere geologiche in anticipo, gustose alternative sono l’economico Isolina, con i suoi piattoni fumanti di lomo saltado (manzo, peperoni e pomodori in salsa di soia), o il raffinato e squisito Tragaluz, parte del Miraflores Park, il miglior hotel della città con sontuosa vista sull’oceano, anche dalla piscina e dalla sala della colazione.

Quest’angolo di Sudamerica è un sollievo per le tasche europee: si dorme con poche decine di euro o ci si tratta da signori senza rovinarsi. A Cusco si può soggiornare al Monasterio, proprietà del gruppo Belmond che risale al Sedicesimo secolo ed è un monumento locale. Sempre a Cusco, da Mauka, si assaggia la cucina di Pía León, chef superstar, una delle due menti di Central a Lima. Il suo piatto «ceviche a 3 mila metri» con trota, mandarino e cipolle autoctone è l’ennesima prova di quanto l’altitudine, nonostante i suoi mali, sia un bene per l’anima.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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