L'onore (delle armi) di Bruno Contrada
Nessuno restituirà gli anni di carcere, la salute ma purtroppo nemmeno l'onore allo "sbirro"
Ieri sera, ad un tratto, mentre guardavo il telegiornale è apparso in video il volto di un fantasma. A Bruno Contrada, la solerte macchina dell’informazione, sempre pronta a vestirsi dei proclami apologetici dei professionisti dell’antimafia, aveva concesso un titolo di coda per rivendicare, dopo decenni, la sua “innocenza” sancita dalla Corte Europea per i Diritti dell’uomo di Strasburgo.
Eh sì, perché tra l’indifferenza pressoché generale, l’alto consesso europeo ha stabilito che Contrada non andava condannato e, sillogismo vuole, nemmeno incarcerato per 10 anni e neppure arrestato in via cautelare. La sua vita da servitore dello Stato non andava macchiata dalla più infamante delle accuse per un uomo delle istituzioni: l’intelligenza con il nemico, con la mafia. Il suo viso, le sue fattezze non andavano tumefatte da un accanimento giudiziario senza precedenti che ha visto impegnarsi buona parte di quei presunti eroi nazionali che ancora oggi cercano con il processo Stato-Mafia di affermare un teorema tanto caro alla loro furia ideologica e settaria.
Ora, ovviamente, si sprecheranno i distinguo e le letture in punta di cavillo della sentenza per arrivare alla, solita, pacifica conclusione quanto si argomenta di responsabilità dei giudici: Il processo andava fatto e la colpa non è di nessuno. E, in fondo, ridotto com’è, Contrada probabilmente non vedrà mai la fine del processo di revisione ammesso che la sua domanda venisse accolta.
Ma, più che altro, a Bruno Contrada nessuno restituirà non solo anni di vita ma nemmeno l’onore delle armi. Perché questo postulerebbe il fatto che qualcuno di toga vestito ammettesse le sue colpe o, quantomeno, un errore. Non è successo per Enzo Tortora. Figuriamoci per uno sbirro.