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Filippo Poltronieri/NNM
Panorama D'Italia

Vittorio Sgarbi: "Bergamo e la sua arte: una città gloriosa"

Viaggio con lo storico dell'arte tra le meraviglie custodite nell'Accademia Carrara passando per Lotto, Bellini, Mantegna

“Bergamo è una città piena di meraviglia, una città gloriosa nella sua bellezza”.
Vittorio Sgarbi si esprime con parole ammirate nella sua lectio magistralis sull’arte di Bergamo nell’Aula Magna dell’Università in occasione della tappa lombarda del tour Panorama d'Italia.

Una città piena di meraviglie. Vittorio Sgarbi racconta Bergamo

Lorenzo Lotto

Il suo viaggio parte da Lorenzo Lotto, veneziano, ma tra i primissimi ad andare a Roma a dialogare e forse lavorare con Raffaello nelle stanze vaticane, e che poi, grande personalità dell’epoca, si sposta a Bergamo dove cresce e esercita la sua arte.
Ricorda quando nella Bergamo Bassa, scendendo da una galleria Ceribelli, entrò per la prima volta nella piccola chiesa di San Bernardino in Pignolo che ha una pala d’altare del 1513: il capolavoro di Lorenzo Lotto, l’opera più bella conservata a Bergamo. "Rappresenta la Sacra Conversazione, una pala d’altare unica. Piena di particolari straordinari: la Madonna in trono con 6 santi" spiega Sgarbi.

Un uomo geniale Lotto, inventore di rebus: nel 1522, stando a Bergamo, dipinge il Ritratto della contessa Lucina Brembate, "una donna brutta, ricca, piena di gioielli, pizzi, con sullo sfondo una notte di luna". Il primo ritratto italiano realistico, non idealizzato. "Ha imparato da Dürer, dopo la sua formazione con Bellini e Raffaello" dice Sgarbi. Dietro la donna, il tramonto della luna dentro la quale c’è una C. “Lotto ci lascia un rebus per individuare il nome della persona: Lu_CI_na. Lotto ha avuto una sensibilità che nessun pittore italiano ha mai avuto” conclude. “Vede il mondo così com’è e in questo è il naturale maestro di Caravaggio”.

Totalmente bergamasco è poi anche Giovanni Battista Moroni, altro pittore della realtà. Nel suo Ritratto di vecchio seduto con libro (1550) si esprime un grande realismo caravaggesco. Altro capolavoro è Il Cavaliere in Rosa, “tra i più ritratti del mondo”, dice Sgarbi.

Il pubblico di Bergamo accorso per la lectio magistralis di Vittorio Sgarbi (Credits: Filippo Poltronieri/NNM)


L'Accademia Carrara

Ma il cuore dell’arte bergamasca è nell’Accademia Carrara dove sono custodite collezioni private di altissimo livello qualitativo.
Tra tutte spicca un’opera di grande dolcezza: la Madonna col bambino di Jacopo Bellini. Su fondo nero, una madre che medita sulla condizione di madre di Dio con un bimbo dolce, tenero che le sta in braccio.

Ma sarà il figlio di Jacopo, Giovanni Bellini a mostrarsi subito dopo come genio assoluto. Nella sua Madonna con il Bambino, la madre ha un’espressione vera, un pensiero profondo e il bambino non vuole stare composto, si svincola per mostrare che è un bambino vero. "Si mostra la verità della natura e della vita degli uomini" chiosa Sgarbi.

Una terza Madonna con Bambino (Madonna della rosa) che merita di essere vista è quella di Donatello, viva e vibrante, energica, con un bambino che si muove in modo rapido tanto da esondare sulla cornice del quadro. “La vita è più forte della forma in questo caso”.

Tutto esaurito a Bergamo per la lectio magistralis di Vittorio Sgarbi (Credits: Filippo Poltronieri/NNM)


Ma il più classico di tutti è Pisanello. Nel ritratto di Lionello d’Este, lo pone in una medaglia con un fondo indistinto, una specie di giardino e bellissime rose viste dalla parte del gambo che non fanno capire la profondità.

Un altro pittore che opera a Bergamo e che fa la sintesi tra mondo antico e modernità è Andrea Mantegna che mette solennità aulica nella sua Madonna col bambino in cui si conciliano la statuaria evidenza della madre con una forte umanizzazione. “Gli anni del Rinascimento toscano danno una serie di stimoli al rinascimento lombardo, veneto e ferrarese e in quest'opera sono chiaramente evidenti” spiega Sgarbi.

In questa direzione va anche Vincenzo Foppa che nella Crocifissione fa sentire la spazialità del calvario e la necessità di restituire tutto in una dimensione aulica e solenne del mondo antico, con l’arco romano a fare da sfondo. “Rinascimento vuol dire usare gli elementi di antologia classica e farli diventare una grande modernità”, spiega Sgarbi. “E in questo Foppa è maestro”.

La Madonna col Bambino del ferrarese Cosmé Tura mostra invece una donna con la testa allungata, un bambino che si agita, le mani come dei ragni e il trono spinto nel fondo oro. “È un pittore sconosciuto ai più ma di fantasia sfrenata e fuori contesto da tutto: un rinascimento onirico, sognante” racconta Sgarbi.
Prova a fare lo stesso un veneto che si trovò male a Venezia il cui mercato era occupato da Tiziano: Carlo Crivelli. “Nella sua Madonna col Bambino cerca di essere capriccioso, di creare situazioni meno naturali e più da arte applicata mettendo frutta e verdura lungo il quadro”.

Si arriva poi alla Madonna col Bambino di Antonello da Messina, al ritratto di giovane uomo di Giovanni Bellini in cui si sposano l’elemento ritrattistico, la dolcezza esecutiva e il richiamo all’antico, e alla sua bellissima Madonna di Alzano, incanto della pittura belliniana con la madre con sullo sfondo il paesaggio moderno mentre lei si pone davanti allo spettatore nel suo dialogo con il bambino aprendo un diaframma sul retro a segnalarci che esiste un mondo creato da Dio.

Da non perdere il San Sebastiano di Raffaello Sanzio, con aria serafica proiettato nella sua beatificazione, con un volto molto dolce. C’è realismo, una figura che è pura armonia.

Sono molte le altre opere dell’Accademia che Sgarbi illustra proprio a voler dimostrare la ricchezza del patrimonio culturale di questa grande città.
Torna a Lorenzo Lotto con il primo ritratto in assoluto di quello che Sgarbi definisce lo “psicanalista dell’arte”: un individuo senza nome né cognome, che guarda soavemente chi a sua volta guarda lui. Continua con l’irruzione della realtà evidente anche nel riconoscimento del potere e della fragilità della vecchiaia nei ritratti di Moroni.
Regala una nota a Evaristo Baschenis, secondo solo a Caravaggio nella rappresentazione delle nature morte: strumenti musicali che evocano un suono che non possiamo sentire, fiori, panneggi, ricoperti a volte di polvere con le ditate di chi ha provato a toglierla a simboleggiare che questi oggetti dureranno più di chi li ha posseduti.

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