I numeri schizofrenici della scuola
I dati relativi all’ultimo esame di maturità raccontano una scuola italiana assai differente rispetto a quella che emerge dai dati Invalsi. Eppure sono gli stessi studenti, le stesse materie, le stesse competenze. Ancora una volta a scuola non tornano i conti e tutto pare essere sempre il contrario di tutto
“Houston abbiamo un problema!” – questa la celebre frase pronunciata dall’equipaggio dell’Apollo 13 per mettere al corrente il centro di controllo terrestre di un’avaria che avrebbe messo in pericolo la spedizione spaziale. E’ un modo di dire ormai proverbiale e significa che ci sono imprevisti evidenti, condivisi e necessariamente da risolvere.
Ecco, nella scuola va pure peggio, perché anche i dati stessi si contraddicono a vicenda.
E’ quello che succede se si confrontano gli esiti dell’ultima maturità con le rilevazioni Invalsi rese note poche settimane fa e raccolte sullo stesso campione di studenti.
La maturità racconta che più del 6% degli studenti di Calabria e Puglia ha concluso gli studi superiori con il massimo voto e lode, tenendo conto che la media nazionale di 100 con lode è del 3,4%. La questione si fa spinosa se si confrontano i dati Invalsi di queste regioni che presentano un quadro opposto, mostrando come il 60% degli studenti del quinto anno della Calabria – per fare un esempio – non raggiunga il livello base richiesto per le competenze della lingua italiana. E in matematica il quadro è anche peggiore.
Le reazioni a questa situazione paradossale sono state diverse. Tra le più evidenti, Carlo Cottarelli, che ha affidato a un tweet la sua riflessione, ha definito il risultato dell’incrocio di dati così discordanti “una cosa non seria”, mentre dall’Associazione Nazionale Presidi la voce ufficiale di Antonello Giannelli, riguardo al confronto impietoso tra Invalsi e maturità, ha dichiarato che tra i docenti in commissione “si è un po’ attenuata la generosità probabilmente per effetto dell’uscita dall’emergenza”.
I discorsi che si possono fare sono molti, senza contare che questi dati sono raccolti sugli studenti che ce l’hanno fatta, non indagando il grande male oscuro della scuola italiana, l’abbandono scolastico.
Innanzitutto, la maturità non è un esame oggettivo come lo è un test a risposta chiusa e uguale per tutti. Certo, però il testacoda nei risultati è comunque un dato che va oltre la soggettività e che deve fare riflettere. Sempre per citare un esempio opposto, la Lombardia svetta nei dati Invalsi mentre solo l’1,5% dei suoi maturati ha ottenuto lode.
In secondo luogo, le rilevazioni sulla Dad di questi mesi hanno mostrato come generalmente, in situazioni complesse e di povertà, gli strumenti siano mancati e si sia accumulato un certo ritardo nell’acquisizione delle nozioni. Questo quadro ancora una volta stride con i risultati della maturità, perché i voti migliori sono stati assegnati agli studenti di regioni che certamente hanno presentato più di una situazione lacunosa nell’elargizione della didattica a distanza.
Va detto che questo quadro non è nuovo, ma generalmente si replica ogni anno. Certo, i dati Invalsi negli ultimi due anni sono stati raccolti faticosamente e senza continuità, così come la maturità non ha avuto le prove scritte, ma il risultato generalmente è sempre lo stesso. Le regioni del nord sono competenti per Invalsi, le regioni del sud svettano nelle medie dell’esame di maturità.
L’elemento centrale di questo cortocircuito è la scuola italiana spezzata in due. Comunque si guardi il problema, questa è la costante. O le scuole del nord sono avanzate e quelle del meridione in grossa difficoltà, o la valutazione dei docenti del sud è generosa mentre al nord non è così, o ancora le scuole settentrionali faticano a premiare il percorso dei loro studenti, mentre quelle del sud non riescono a preparare a prove standardizzate. Comunque sia, la scuola italiana esce divisa e un quadro così schizofrenico rende assai complesso ogni tentativo di correzione di rotta.
Che fare quindi? Posto che la valutazione non è l’elemento principale della scuola, anche se risulta imprescindibile, una prima risposta è quella di considerare la scuola una e una sola, senza cedere alla tentazione dell’autonomia, dell’eccellenza e quindi dell’esclusione. Se la scuola è pubblica, statale o paritaria, deve garantire uguali opportunità a tutti i suoi studenti, e questo non pare essere all’ordine del giorno, perché i dati – contraddittori ma concordi su questo punto – mostrano velocità distinte, valutazioni eterogenee, competenze differenti.
La scuola italiana esce a pezzi da una legislatura spezzettata che ha proposto quattro ministri differenti e diversissimi tra loro. Sarà opportuno ripartire per davvero dalla scuola, per dare un presente e un futuro ai ragazzi che la vivono e la vivranno, e al Paese che da domani dovrà farsene carico per non soccombere sotto i colpi della sua incuria.