Il Washington Post certifica la crisi di Biden e la fine di Kamala Harris
Un editoriale di David Ignatius, di sicuro non un repubblicano, sta facendo discutere non solo per la richiesta di NON ricandidarsi fatta al Presidente Usa ma per le ragioni e la fine della narrazione sognante della sua vice
Nuovi campanelli d’allarme stanno suonando per la campagna elettorale di Joe Biden. L’editorialista del Washington Post, David Ignatius, ha pubblicato sul quotidiano un articolo, esplicitamente intitolato “Il presidente Biden non dovrebbe correre di nuovo nel 2024”.
Dopo aver brevemente passato in rassegna quelli che sarebbero secondo lui i meriti dell’attuale inquilino della Casa Bianca, l’editorialista scrive: “Non penso che Biden e il vicepresidente Harris dovrebbero candidarsi alla rielezione. È doloroso dirlo, data la mia ammirazione per gran parte di ciò che hanno realizzato. Ma se lui e la Harris faranno una campagna insieme nel 2024, penso che Biden rischi di annullare il suo più grande risultato, ovvero l’aver fermato Trump”. Secondo Ignatius, il problema principale risiede innanzitutto nell’età avanzata del presidente e, in secondo luogo, nella scarsa popolarità di cui gode la sua vice. “La Harris ha molte qualità lodevoli, ma il semplice fatto è che non è riuscita a guadagnare terreno nel Paese e nemmeno all’interno del suo stesso partito”, sostiene Ignatius, che arriva addirittura a suggerire a Biden di cambiare running mate.
L’editorialista prosegue quindi con una dura requisitoria contro il presidente. “Avrebbe dovuto resistere alla scelta della Harris, che era collega del suo amato figlio Beau quando entrambi erano procuratori generali statali. Avrebbe dovuto bloccare la visita dell’allora Speaker della Camera Nancy Pelosi a Taiwan, che ha causato notevoli danni alla sicurezza dell’isola. Avrebbe dovuto impedire a suo figlio Hunter di entrare nel consiglio di amministrazione di una compagnia di gas ucraina e di rappresentare aziende in Cina – e certamente avrebbe dovuto resistere ai tentativi di Hunter di impressionare i clienti chiamando papà al telefono”, scrive Ignatius.
Insomma, l’editoriale del Washington Post assesta un colpo durissimo sia a Biden sia alla Harris: quella stessa Harris che, a inizio 2020, gran parte della stampa americana e nostrana aveva frettolosamente mitizzato e che invece si è rivelata un totale fallimento sotto il profilo politico. E qui veniamo al perché questo editoriale sia così significativo in vista della campagna elettorale per le presidenziali del 2024.
Innanzitutto va ricordato che il Washington Post è storicamente un giornale non ostile al Partito democratico: non a caso, diede il suo endorsement a Biden nel settembre del 2020. Il fatto che stia quindi iniziando a scaricare il presidente evidenzia, una volta di più, come parte del mondo progressista americano sia ostile a un secondo mandato dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Non dimentichiamo d’altronde che, pochi giorni fa, The Hill ha riportato che vari senatori dem si sarebbero detti frustrati dai pessimi risultati sondaggistici registrati da Biden.
In secondo luogo, non va trascurato che Ignatius è il giornalista che, nel 2017, rivelò l’esistenza dei contatti tra il National Security Advisor in pectore di Donald Trump, Mike Flynn, e l’allora ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyak, citando come fonte un “alto funzionario del governo americano”. L’editorialista ha quindi contatti, se non addirittura legami, con settori importanti dell’apparato statale. Quello stesso apparato che sta dando da mesi segni di insofferenza e di ostilità nei confronti della ricandidatura di Biden (basti pensare ai Pentagon leaks dello scorso aprile). Un’insofferenza che è stata forse veicolata (anche) attraverso l’articolo del Washington Post. E intanto il futuro elettorale dell’attuale presidente resta in forse.
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