Economia
June 28 2017
La mossa del governo in tandem con Intesa Sanpaolo per salvare Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza - un decreto ad hoc che autorizza l'intervento dello Stato permettendo alla banca milanese di acquistare la parte buona delle due ex popolari venete al prezzo simbolico di 1 euro - ha spaccato in due la comunità finanziaria.
Da una parte i detrattori e dall'altra i fautori, perché come tutti i provvedimenti, il decreto varato domenica 25 giugno dal governo ha pro e contro. Vediamoli.
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I critici dell’operazione, un gruppo che annovera i principali media finanziari di area anglosassone, la stampa nord europea e spagnola, e gli economisti di area liberale in Italia, fanno notare soprattutto tre cose.
La prima: il salvataggio di Stato delle due banche venete ha distrutto la fiducia sull'unione bancaria. La seconda: ha scaricato il peso dell'operazione solo sulle spalle dei contribuenti. La terza: l'operazione ha avvantaggiato solo uno dei player più forti del settore in Italia, regalandogli di fatto due banche, ripulite degli asset tossici.
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A pagare il conto, infatti, alla fine sarà lo Stato che per due banche spenderà circa 17 miliardi di euro, pari all’1% del Pil italiano. Tutto per evitare che la tagliola del bail-in arrivasse fino alle obbligazioni senior e un aumento di capitale a nove zeri per Intesa Sanpaolo.
Si è scelto, insomma, una via alternativa, applicando la normativa italiana e non quella europea, rispetto alla strada imboccata dalla Spagna con la risoluzione del Banco Popular, dove sono stati azzerati azionisti e creditori senior e dove Santander è stata costretta a una ricapitalizzazione di 7 miliardi di euro per assorbire le svalutazione dei crediti della banca fallita.
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Non solo. Le decisioni del Governo italiano su Veneto Banca e Popolare di Vicenza, dicono i detrattori, mettono in dubbio la portata delle regole comuni e sollevano interrogativi sul futuro dell'unione bancaria.
Lo hanno fatto notare tra gli altri, pubblicando editoriali molto duri nei confronti dell’Italia, il Wall Street Journal, Bloomberg e il Financial Times.
Una posizione non lontana da quella espressa dall’eurodeputato tedesco della Csu Markus Ferber: "La promessa che i futuri contribuenti non pagheranno più per le banche malate è caduta per sempre".
Sul fronte opposto, invece, troviamo gli esponenti del governo e alcuni economisti italiani, schieratisi a favore del provvedimento, come Marco Onado e Francesco Giavazzi: fanno notare che il decreto non solo è a prova di regole Ue (lo ha ripetuto più volte il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan), ma risolve anche tre problemi del sistema bancario italiano.
Il primo: tutela parte dei risparmiatori che inconsapevolmente in passato avevano investito in titoli, che ora possono essere utilizzati per la sistemazione delle banche. È il caso dei creditori senior (non degli azionisti e dei bond subordinati).
Poi c'è un secondo vantaggio, dicono i sostenitori del decreto: l’Italia non ha una banca che possa farsi carico di un’altra crisi.
Non è, insomma, come la Spagna che può contare su un gigante come Santander, che capitalizza 85 miliardi di euro, quasi il doppio di Ca' de Sass.
Inoltre, i due colossi di casa nostra (Intesa Sanpaolo e UniCredit, quest'ultima ha già ricapitalizzato per 13 miliardi) hanno già dato, contribuendo al fondo Atlante e al fondo interbancario, intervenuto nel salvataggio di Banca Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti.
Il terzo punto a favore del decreto, infine, è quello di aver trovato una soluzione che garantisse l'operatività a due banche che sostengono gran parte dell'economia di una delle aree più produttive del paese (il Nord Est).
Intesa Sanpaolo - come si legge nella nota pubblicata lunedì 26 giugno, quando la banca ha comunicato l'acquisto delle due ex popolari venete - ha assicurato che l'intervento permette di salvaguardare "i risparmi affidati da circa 2 milioni di famiglie, l'attività di 200 mila imprese finanziate e conseguentemente l'occupazione di 3 milioni di persone".
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Sul fronte dei dipendenti dei due istituti, la banca milanese ha garantito, inoltre, che ci saranno solo uscite su base volontaria - 3.900 i tagli annunciati su un organico di 9.960 persone, ma riguarderanno anche Intesa Sanpaolo, che potrà aprire così una nuova finestra interna per gli esodi volontari, finanziata dai fondi statali in arrivo - e che saranno prese misure a salvaguardia dei posti di lavoro e per la riqualificazione del personale.
Il contratto firmato da Ca' de Sass ha però una clausola risolutiva: la banca guidata dal ceo Carlo Messina potrà venire meno agli impegni presi nel caso in cui il decreto non fosse convertito in legge o nel caso in cui fosse convertito "con modifiche e/o integrazioni tali da rendere più onerosa per Intesa Sanpaolo l’operazione, e non fosse pienamente in vigore entro i termini di legge".