Le banche in Italia: quante, quali, la situazione
Tra crac bancari e fusioni, nel 2016 hanno chiuso i battenti 44 istituti. E il numero è destinato ad aumentare nei prossimi anni
[post aggiornato il 27 maggio 2017]
Le banche italiane provano a rialzare la testa e a rimettersi in pista. Non è facile: lo sciacquone in Borsa nel 2016 ha fatto perdere ai titoli del settore circa il 40% del proprio valore e gli istituti sono stati costretti a varare maxi aumenti di capitale (da 13 miliardi di euro quella di UniCredit) per rafforzare il patrimonio e smaltire le sofferenze.
C'è poi una ferita che è più difficile da rimarginare: quella della fiducia degli italiani (molti di loro hanno visto andare in fumo i propri risparmi in pochi mesi), dopo il crac di quattro istituti dell'Italia Centrale, la crisi delle due Popolari venete e l'odissea di Mps e Carige.
Se non altro, i risparmiatori hanno imparato una lezione: anche le banche possono fallire (anche se tecnicamente, secondo l'ordinamento giuridico, le banche chiudono e non falliscono); la filiale sotto casa forse non è il posto più sicuro dove custodire i propri soldi; e quando si compra un prodotto finanziario, bisogna leggere attentamente "le avvertenze", come in farmacia.
Il problema delle sofferenze
La strada per i banchieri nel 2017 è tutta in salita e non priva di ostacoli: ci sono da smaltire, come ha ricordato di recente PwC, 200 miliardi di euro di sofferenze, denaro prestato in passato che difficilmente tornerà indietro, e 117 miliardi di euro di inadempienze probabili, i crediti per i quali una banca ritiene improbabile un rimborso integrale in futuro.
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I numeri
Un altro capitolo che dovranno affrontare i banchieri è quello della riorganizzazione degli istituti. Nel 2016, ricordava di recente Bankitalia, sono stati chiusi altri 1.000 sportelli in Italia dove ora si contano 29.000 filiali. Nello stesso anno il numero di banche è sceso a quota 600 da 644.
Un numero destinato a calare nei prossimi anni, se si considerano le fusioni in corso nel mondo del Credito Cooperativo e l'assorbimento delle quattro banche fallite dell'Italia Centrale (Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti) nel gruppo UBI.
Si calcola che entro il 2020 saranno chiusi almeno altri 3.250 sportelli considerando solo i piani industriali presentati dai primi 10 gruppi bancari nel 2016.
Il confronto con l'Europa
Ma sono ancora troppi gli sportelli in Italia? Molti istituti, secondo alcuni osservatori, potrebbero risparmiare allegerendo la rete distributiva "pesante", cioè riducendo il numero di filiali (e quindi dei dipendenti che dentro vi lavorano), spingendo allo stesso tempo gli altri canali: online e distribuzione fuori sede (consulenti finanziari).
In Italia ci sono più filiali che pizzerie, ironizzava il Financial Times nell'estate del 2016. Però, secondo i calcoli della First Cisl, a inizio 2016 nel nostro Paese si contavano circa 50 sportelli ogni 100mila abitanti, una media inferiore rispetto ai 57 della Francia (che ha un sistema bancario più concentrato con 464 istituti) e ai 69 della Spagna (218 banche).
Diversa ancora la situazione in Germania, dove si contano ben 1.768 banche, anche se la diffusione degli sportelli è più bassa: 44 ogni 100mila abitanti.
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Le banche a rischio
Nel 2017 sono ancora tante le incognite che gravano sul futuro di alcune banche italiane: benché abbiano imboccato la strada del risanamento, versano tuttora in una situazione problematica.
È il caso di Monte dei Paschi di Siena, che ha chiuso il 2016 con una perdita di quasi 3,4 miliardi di euro a causa di rettifiche sui crediti. La banca senese deve affrontare un aumento di capitale di 8,8 miliardi di euro per liberarsi anche di oltre 27 miliardi di sofferenze; un’impresa titanica che solo con l’aiuto dello Stato può portare a termine.
Il percorso è in salita anche per la Popolare di Vicenza (perdita di 1,9 miliardi di euro nel 2016) e per Veneto Banca (rosso da 1,5 miliardi), le due ex popolari venete controllate dal Fondo Atlante, che le ha rilevate nel 2016 con una ricapitalizzazione complessiva di circa 2,5 miliardi di euro, sostenuta da tutto il sistema bancario italiano e rivelatasi poi un flop.
Ora hanno bisogno di un altro maxi aumento da 6,4 miliardi di euro per coprire le perdite derivanti dalla cessione di una montagna di crediti ormai in sofferenza.
Le banche in salute
Qual è, invece, l’identikit delle banche italiane più solide? Fanno pochissimo credito e gestisco soprattutto i risparmi delle famiglie italiane.
Sono una manciata di istituti: Fideuram ISPB (controllata specializzata nel private banking del gruppo Intesa Sanpaolo), Banca Generali (la banca dalla compagnia del Leone), Banca Mediolanum e Fineco (la banca multicanale del gruppo UniCredit).
Queste quattro banche, specializzate nell’asset gathering e asset management (raccolta e gestione dei risparmi), hanno il Cet-1 (common equity tier 1) superiore alla media.
Il Cet-1 è il parametro che misura la solidità di un istituto di credito calcolando il rapporto tra il suo capitale e le attività impiegate sul mercato (prestiti alla clientela o titoli obbligazionari posseduti).
Un'agenzia di Banca Etruria 19 dicembre 2015Franco Silvi/Ansa
Le nuove norme
Ma oltre ai disastrati bilanci delle banche, dal 2016 una nuova minaccia incombe sui risparmiatori: è il bail-in, la nuova procedura di risoluzione nei casi di crisi bancarie, in vigore dal 2016 e opposta al bail-out, il salvataggio dall'esterno (con i soldi pubblici), che rischiava di diventare troppo oneroso per gli Stati della Ue, soprattutto per quelli eccessivamente indebitati come l’Italia.
Il bail-in (salvataggio interno) consiste in un pacchetto di misure per risanare il più rapidamente possibile la situazione ed evitare l'interruzione nella prestazioni di servizi essenziali, come i depositi e i servizi di pagamento; l'alternativa sarebbe infatti la chiusura della banca, attraverso la liquidazione coatta amministrativa.
Qualora non si riuscisse a vendere le attività a un privato e a conferire le attività deteriorate in un veicolo esterno (bad bank), prevede la svalutazione di azioni, crediti e la conversione di crediti in azioni, per assorbire le perdite e ricapitalizzare l’istituto.
Quando si applica il bail-in
Il bail-in si applica seguendo una regola precisa: chi investe in strumenti più rischiosi sostiene prima degli altri le eventuali perdite o la conversione in azioni.
Quindi, i primi a subire una pesante riduzione del valore dei titoli in portafoglio (anche l'0azzeramento) sono gli investitori che hanno comprato azioni, azioni di risparmio e obbligazioni convertibili.
Se tale riduzione non bastasse, possono essere chiamati a partecipare al salvataggio della banca anche i possessori delle obbligazioni bancarie non garantite (come nel caso di Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti) e i titolari dei depositi superiori ai 100.000 euro.
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