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April 17 2015
Hillary Clinton è il candidato inevitabile per la Casa Bianca, ma non è il candidato invincibile, come la storia ha già dimostrato. In questo inizio di campagna elettorale non si è ancora affacciato sulla piazza un altro democratico che sembra avere i numeri per provare a insidiare l’ex first lady, eppure gli ostacoli sul percorso clintoniano si stanno delineando in modo chiaro.
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La sinistra con il turbo
Il primo ostacolo è la corrente più radicale della sinistra, che negli anni del risentimento contro Wall Street ha guadagnato forza e credibilità all’interno del panorama democratico, in sostanza battendosi contro tutto ciò che la famiglia Clinton rappresenta. Le sue icone sono il sindaco di New York, Bill de Blasio, e la senatrice Elizabeth Warren. Il primo si è rifiutato di esplicitare il suo endorsement per la Clinton, anche se a lei deve molto della sua carriera politica, e anzi sta lavorando per promuovere la sua immagine di turboprogressista anche al si là dei confini di New York. La seconda, un mastino che sta alle calcagna delle grandi banche, dice che non correrà, ma sono in molti a sperare che cambi idea. Per cautelarsi, Hillary ha scritto ieri un breve (e furbo) commento sul Time in cui si complimenta con la Warren per l’inclusione nella lista delle cento persone più influenti: “Elizabeth Warren non ha mai permesso che ci dimenticassimo che domare l’irresponsabilità di Wall Street e riformare il sistema finanziario è un lavoro che non è ancora terminato”.
La dinastia
Il cognome le garantisce il sostegno della più potente macchina politica della storia recente, ma è anche una zavorra che la porta in basso, fra le cose già viste e di cui l’America farebbe anche a meno. Sette anni fa un semisconosciuto senatore è diventato presidente promettendo “change” (che abbia mantenuto la promessa è un’altra storia), mentre Hillary può promettere più che altro continuità e modi già visti di amministrare il potere. Certo, sarebbe il primo presidente donna, ma anche il secondo presidente che di cognome fa Clinton. Una novità già vista, insomma.
Isolazionismo o “engagement”?
Il programma elettorale non è ancora stato ultimato, ma uno dei cambi di direzione fondamentali che Hillary sta preparando riguarda la politica estera. Il disimpegno americano dagli affari del mondo promosso da Obama in questi anni – e che il presidente spera di concludere con il grande accordo nucleare con l’Iran – non fa parte della cultura di Hillary, che storicamente si è schierata più con i falchi con le colombe di sinistra. Le minacce di Isis e il confronto con la Russia certamente le suggeriscono di assumere una postura più aggressiva, ma dovrà tenere conto che all’opinione pubblica il disimpegno non dispiace del tutto. Anzi, una parte del paese vorrebbe un deciso ripiegamento sugli affari interni, pulsione isolazionista ben incarnata dal senatore libertario Rand Paul, altro candidato alla presidenza. Riuscire a navigare fra queste due posizioni non è semplice nemmeno per un Clinton.
L’abbraccio di Wall Street
L’obiettivo di Hillary è raccogliere 2,5 miliardi di dollari per la campagna elettorale, numero che polverizzerebbe qualunque record. Nemmeno il più carismatico dei populisti potrebbe sperare di ottenere una cifra del genere dalle piccole donazioni degli elettori, ma Hillary punta dritto alla “big money”, e ormai da mesi partecipa a eventi di fundraising e campagne con i grandi di Wall Street, ai quali è legata da una lunga e fruttuosa amicizia. Sotto il governo del marito Bill i banchieri hanno avuto i loro anni migliori, con regole che si rilassavano, bonus che crescevano e un’infinità di soldi che gonfiavano le bolle dei mercati. Il patatrac ha fatto crollare la reputazione dei banchieri, ma Hillary non ha cambiato frequentazioni.
Età
Oggi Hillary ha 67 anni, il giorno delle elezioni ne avrà 69. Non è un dato particolarmente significativo in sé. Quando, nel 1980, Ronald Reagan ha ottenuto la nomination repubblicana, gli avversari democratici gongolavano, certi che gli elettori non avrebbero mai votato un uomo di settant’anni. E invece. Però i tempi nel frattempo sono cambiati. Esiste a livello globale una tendenza allo svecchiamento delle classi dirigenti, e certo la crisi ha alimentato una voglia di cambiamento (ragionata o istintiva che sia) fra gli elettori che tende a sovrapporsi al dato anagrafico. In più, quando l’America andrà alle urne la generazione più rappresentata sarà quella dei millennial (nati fra l’inizio degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta), che copriranno il 36 per cento dell’elettorato. Non sarà facile per Hillary infondere entusiasmo in quell’elettorato che brama (ancora) “change”.