Economia
August 14 2015
Un banchiere centrale si guarda bene dall'ammettere in pubblico che sia in atto una "guerra delle valute". Preferisce parlare, al massimo, di "svalutazioni competitive", un trucco per rilanciare l'export e l'economia di un paese grazie a un tasso di cambio vantaggioso.
Perché la guerra delle valute, quella vera, in cui gli istituti centrali danno il via a una gara al ribasso dei tassi di interesse, si combatte anche con le parole: quel "faremo qualsiasi cosa per salvare l'euro" pronunciato da Draghi nel luglio 2012 e passato alla storia è bastato da solo allora a dimezzare lo spread, mentre la scomparsa dell'aggettivo "paziente" dai discorsi dalla collega americana Yellen ha allertato non pochi investitori lo scorso marzo, preoccupati da un imminente rialzo dei tassi negli Usa (poi slittato).
Non troviamo la stessa cautela verbale tra gli ossevatori dove ormai l'espressione sembra essere tornata in voga i questi giorni, dopo che la People's Bank of China, la banca centrale cinese, ha attuato la più forte svalutazione dello yuan negli ultimi 20 anni. La divisa cinese ha perso oltre il 4 per cento del suo valore grazie a tre tagli consecutivi realizzati in 72 ore che l'hanno portata a quota 6,40 sul dollaro.
"Non che ne sia mai uscita, sia ben chiaro, ma la Cina, questa notte, è entrata di diritto all’interno del quadro di guerra valutaria" ha scritto, ad esempio, martedì mattina Matteo Paganini, capo analista in Italia di FXCM, broker online britannico specializzato nel trading sul mercato valutario, in un commento diffuso alla stampa.
Petrolio, cosa c'è dietro la guerra dei prezzi
Un conflitto a tre
Sembra avverarsi quanto scriveva James Rickards, un noto avvocato di Wall Street, super consulente, partner dell'hedge fund newyorkese JAC Capital Advisors e scrittore visionario, che nel suo bestseller del 2011, "Currency Wars", descriveva tre grandi divise (ed economie) fronteggiarsi in un conflitto iniziato nel 2010 come conseguenza della depressione del 2007: Cina (yuan), Stati Uniti d'America (dollaro) ed Europa (euro).
Si combatte su tre fronti: quello pacifico (yuan – dollaro), quello atlantico (dollaro – euro) e quello euroasiatico (yuan – euro). Il finale, però, non è di quelli rassicuranti: a forza di parlare di guerra valutaria ci si scorda che il sottotitolo del fortunato libro, per lo meno in America, è "The Making Of The Next Global Crisis", la nascita della prossima crisi globale e cioè un nuovo 2008 o forse peggio, il remake del 1929 (Rickards, del resto, ama i toni forti; il suo secondo libro è"The Death of Money"). Tocchiamo ferro, comunque.
Meno sorpresa dalla recente mossa di Pechino è invece Saxo Bank, banca di Copenaghen specializzata nel trading online: la svalutazione dello yuan era uno dei dieci cigni neri, ovvero le previsioni "estreme ma non impossibil", che la società ha pubblicato a fine 2014. Ma ciò che ora più preoccupa gli esperti danesi sono le ripercussioni che tale mossa potrà avere sulla politica monetaria della Fed, la banca centrale americana.
Nei prossimi mesi (addirittura a settembre, secondo alcuni) è atteso dall'altra parte dell'Oceano il primo rialzo dei tassi, tenuti ai minimi storici per quasi sette anni, ma non è detto che il governatore Janet Yellen decida di rinviare anche questa volta dopo la mossa a sorpresa di Pechino.
Il sospetto è che dopo la Cina anche altre autorità monetarie della regione asiatica agiranno di conseguenza per difendere le loro valute ed evitare rallentamenti nei mercati interni alimentando però una spirale al ribasso. Il Vietnam, concorrente diretto della Cina, lo ha già fatto. Tali impatti, inoltre, potrebbero uscire dai confini asiatici, mettendo in stato di allerta persino Draghi.
La Pboc si asterrà da interventi regolari sul mercato dei cambi
Le prossime mosse di Pechino
Assisteremo a ulteriori mosse da parte della banca centrale cinese? "La Pboc si asterrà da interventi regolari sul mercato dei cambi" ha sostenuto Yi Gang, vice governatore della banca centrale cinese in una conferenza stampa a Pechino aggiungendo che il cambio sarà mantenuto ad un livello "più o meno stabile e ragionevole".
Secondo il fondo di investimento britannico Schroders, il nuovo meccanismo per la quotazione ufficiale della valuta cinese (che in gergo è detta fixing) porterà a un allontanamento da un puro ancoraggio al dollaro verso un paniere di valute. E se così fosse, un ulteriore deprezzamento nei confronti del dollaro diventerebbe più probabile.
"Tuttavia, crediamo che la stabilità finanziaria e sociale resti la preoccupazione principale per i policymaker e per questo motivo riteniamo che una svalutazione significativa non sia all’orizzonte" assicura il fondo britannico. Le armi non convenzionali cinesi, per nostra fortuna, restano ancora in magazzino.