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January 30 2017
Quando fu eletto, nell'ottobre 2015, il premier liberale canadese Justin Trudeau predispose subito, come primo atto del suo governo, il ritiro dei caccia canadesi da Iraq e Siria. Fu una svolta netta, e per certi versi inattesa, rispetto alla tradizionale politica estera dell'ex primo ministro conservatore, Stephen Harper, storico alleato di G.W. Bush nella guerra contro il terrorismo di matrice islamica.
Ora che è salito al potere Donald Trump, il sorridente e dinamico capo del governo canadese ha immediatamente preso le distanze dalla nuova amministrazione americana, annunciando sulla sua pagina facebook la sua assoluta contrarietà alle politiche migratorie del suo omologo meridionale. Per lui, i rifugiati sono comunque i benvenuti. Una esternazione che, almeno in teoria, potrebbe risultare controproducente per qualsiasi leader politico occidentale, specie in questo passaggio d'epoca, ma non per Justin Trudeau, la cui popolarità in Canada rimane ancora straordinariamente elevata, tra tutte le fasce di età, e pressoché tutte le categorie economico-sociali.
A un anno e mezzo dalla sua consacrazione elettorale, quando vinse a sorpresa contro i conservatori, il 44enne Justin Trudeau continua infatti a godere in Canada di un indice di popolarità così grande (fino all'80% di apprezzamento tra le persone nella fascia di età compresa tra i 18 e 34 anni) che risulta spesso inspiegabile per gli stessi sondaggisti.
Giovane, presenzialista, charmant e straordinariamente empatico, Trudeau è insomma un esempio quasi più unico che raro di leader politico la cui popolarità rimane elevatissima, quasi che la luna di miele non abbia mai fine e il potere, anziché logorarlo, ne rafforzi l'immagine. Se attacca Trump, insomma, può permetterselo.
La chiave del successo di Trudeau - figlio del mitico Pierre Trudeau, lo storico capo del governo del Paese per 15 anni - sta anche nel modo in cu ha interpretato il ruolo di primo ministro: gira come una trottola in ogni angolo del Paese, si concede, ascolta, coinvolge i canadesi, diffonde ottimismo, senza mai venir meno alle promesse progressiste - dalle legalizzazione della cannabis all'impegno per la riduzione dei gas serra, fino alle politiche a favore della detassazione degli stipendi della middle e working class - fatte in campagna elettorale. Come immagine, Trudeau è insomma tutto il contrario di Stephen Harper, l'arcigno e competente ex primo ministro conservatore secondo il quale fare il premier significava essenzialmente andare nel suo ufficio, leggere documenti e prendere decisioni.
L'iscrizione del giovane premier tra gli avversari della svolta anti-migratoria di Donald Trump non significa ovviamente che il Canada abbia deciso di sfilarsi dall'alleanza contro il terrorismo, né che stia cavalcando l'onda del populismo di sinistra. Significa semplicemente, per Ottawa, proseguire sulla strada di una politica estera più autonoma e isolazionista, in linea con le scelte che il padre del premier fece negli anni 70 e 80, quando il Canada si proponeva come interlocutore di Fidel Castro e delle opposizioni latinoamericane perseguitate dai regimi, senza per questo rinunciare in nessun modo alla scelta di campo occidentale. Come suo padre, che molti paragonavano per l'energia e il carisma a John Fidgerald Kennedy, Trudeau è saldamente, in tutto e per tutto, un leader liberale.