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June 30 2017
Lo scontro con la dura realtà. È questo che è capitato al governo Gentiloni e al segretario del Pd, Matteo Renzi, sul tema dei migranti.
I flussi non si arrestano e dietro i viaggi dei "boat people" dei gommoni c’è la criminalità organizzata con pericolosi addentellati jihadisti.
Al centrosinistra come al centrodestra, un’idea cattolica solidale da un lato e una liberale di apertura ed espansione dall’altro suggeriscono a Renzi e a Berlusconi di avere nei confronti dell’immigrazione un approccio "laico", non ideologicamente di chiusura.
In fondo c’è anche un’immigrazione necessaria se si vuole che le pensioni continuino a essere pagate e che s’inverta la tendenza al calo delle nascite. Che un Paese e una popolazione si avvitino in una spirale a saldo negativo dal punto di vista demografico equivale a un impoverimento sia in termini economici che culturali.
Non a caso la Germania della Merkel ha relativamente aperto le porte soprattutto ai siriani, che sono per lo più migranti di fasce sociali e culturali medio-alte.
Non a caso il Regno Unito da sempre porta avanti una politica di accoglienza legata al soft power del sistema dell’educazione.
Si tratta, ovvio, di un’immigrazione ben diversa da quella estemporaneo e incontrollata (incontrollabile) dei disperati che dal Nord Africa, in particolare dalla Libia, affrontano il Mar Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna. Tra di loro non ci sono solo profughi di guerra per i quali il diritto internazionale prevede una protezione pressoché totale e il dovere dell’accoglienza. Ci sono anche i "migranti economici" di cui parla il presidente francese Macron compiendo una mezza marcia indietro rispetto alle ultime dichiarazioni di solidarietà con l’Italia (ma già nella zona di confine di Ventimiglia l’aperturismo dell’Eliseo ha mostrato tutti i suoi limiti).
Tuttavia il problema è sempre mal posto, in Europa. L’Italia, che ha un giusto approccio grazie alla lunga esperienza di Paese in prima linea e di primo approdo per centinaia di migliaia di migranti, si sforza di metterlo sui giusti binari quando concentra l’attenzione sulla Libia e su una certa parte di quel continente.
Il grande esodo non finirà, a meno che non si arrivi a prosciugarne la fonte che sta in Africa. I viaggi della speranza (o della disperazione) erano di fatto finiti con gli accordi bilaterali stretti dal governo Berlusconi con la Tunisia di Ben Ali e la Libia di Gheddafi. Le primavere arabe non hanno portato la democrazia al Nord Africa e al Medio Oriente, ma certo hanno minato l’efficacia di quegli accordi e dato spazio alle bande di trafficanti che sono diventati signori nelle terre che oggi controllano.
Quindi, a meno di stabilizzare finalmente la Libia e sviluppare a livello europeo un “Piano Marshall” per gli africani, gli arrivi non potranno che aumentare, specie d’estate. E l’accoglienza purtroppo ha i suoi limiti, considerando anche i risvolti politico-elettorali.
Adesso il governo Gentiloni minaccia di chiudere i porti alle navi delle Ong che raccolgono profughi e migranti economici a ridosso delle acque territoriali libiche, una sorta di staffetta del mare, qualcuno lo paragona a un servizio taxi per l’Italia attraverso il Mediterraneo.
Ma si tratta di una provocazione lanciata per lo più ai nostri partner europei, in particolare a quelli che si ritroverebbero sotto pressione come la Francia.
La realtà è che l’Italia non è riuscita a farsi valere a Bruxelles e non ha ottenuto una vera applicazione degli accordi sulla ricollocazione dei richiedenti asilo.
In generale, l’Unione europea è spaccata, divisa, con l’Est determinato ad alzare muri ma anche l’Ovest per nulla propenso a sostenere l’Italia nella sua quotidiana operazione di "soccorso e salvataggio".
Del resto il governo dell’immigrazione riguarda il controllo (e a volte la difesa) delle frontiere, uno dei compiti fondamentali di uno Stato che si rispetti. I campi profughi per smistare e discernere i flussi già in Africa, e gli accordi bilaterali con i governi di transito e origine dei migranti, insieme a un potente programma di aiuti allo sviluppo, sono l'unica vera strategia di lungo termine. Tutto il resto è approssimazione se non (peggio) propaganda.