Contratto a tutele crescenti, 5 cose da sapere
Come saranno disciplinati i nuovi rapporti di lavoro che nasceranno nel 2015, con l'approvazione del Jobs Act
Licenziamenti più facili e risarcimenti che crescono con l'avanzare della carriera. Sono questi i due tratti caratteristici del nuovo contratto a tutele crescenti, che debutterà in Italia dal prossimo anno, grazie all'approvazione del primo decreto attuativo del Jobs Act, la riforma del lavoro del governo Renzi. Con l'inizio del 2015, le aziende che assumono un nuovo dipendente a tempo indeterminato, (senza inquadramenti precari o a termine) saranno soggette a una disciplina diversa da quella prevista invece per i contratti già in essere, stipulati fino alla fine di quest'anno (e che, va ricordato, conservano le regole attualmente in vigore) . Ecco, di seguito, una panoramica su cosa cambia nella legislazione italiana del lavoro.
Licenziamenti economici
Chi viene assunto da 1° gennaio con il contratto a tutele crescenti, potrà essere lasciato a casa dall'azienda facilmente, soprattutto quando il licenziamento è legato a ragioni economiche (per esempio in caso di una ristrutturazione o a riorganizzazione dei reparti o di una soppressione di alcune funzioni). Se il lavoratore fa ricorso in tribunale e il licenziamento viene dichiarato illegittimo, l'azienda non sarà tenuta più a riassumere il dipendente ma dovrà erogargli soltanto un indennizzo in denaro.
Licenziamenti disciplinari
Con i nuovi contratti a tutele crescenti che debutteranno il prossimo anno, sarà più facile lasciare a casa un dipendente anche per ragioni disciplinari (per esempio in caso di assenteismo o insubordinazione del lavoratore). Se un licenziamento disciplinare viene dichiarato illegittimo, l'azienda non può essere obbligata dal giudice a riassumere il dipendente, se non in casi limitati, cioè quando il fatto contestato è palesemente inesistente (per esempio se il lavoratore viene accusato calunniosamente di un furto che non è mai avvenuto). In tutte le altre fattispecie, l'impresa sarà invece obbligata a erogare soltanto un indennizzo in denaro.
Gli indennizzi
Chi viene licenziato ingiustamente per motivi economici o disciplinari e ottiene una sentenza favorevole del giudice, avrà diritto a un indennizzo in denaro che dipende dalla lunghezza della carriera pregressa. Nelle imprese con più di 15 addetti, il risarcimento pagato dall'azienda sarà pari a due mesi di stipendio per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità. Nelle aziende con meno di 15 dipendenti, invece, l'indennità spettante al licenziato è pari a un solo mese di retribuzione per ogni anno di servizio, con un minimo 2 e un massimo di 6 mensilità.
La conciliazione
In caso di un licenziamento contestato dal dipendente, è possibile effettuare una procedura di conciliazione, in modo da evitare il processo in tribunale. L'azienda può offrire subito al lavoratore un risarcimento in denaro che varia tra 2 e 18 mensilità di stipendio, completamente esenti dai contributi e dall'irpef. Se il dipendente accetta, il licenziamento si considera perfezionato senza possibilità di ulteriori ricorsi.
Licenziamenti discriminatori
Rimane sostanzialmente immutata la disciplina dei licenziamenti discriminatori. In qualsiasi azienda, piccola o grande, un dipendente che viene lasciato a casa per dei pregiudizi razziali, sessuali, politici o sindacali, avrà diritto a essere reintegrato al suo posto, come prevede già oggi l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Spettano al licenziato anche gli stipendi arretrati e non percepiti durante il periodo di disoccupazione. Dalla somma corrisposta, l'azienda potrà però scontare gli eventuali compensi incassati dal lavoratore grazie ad altri impieghi o collaborazioni professionali, svolte dopo il licenziamento. Anche se il giudice ordina il reintegro, il dipendente discriminato può comunque optare in alternativa per un risarcimento in denaro pari a 15 mensilità di stipendio.