Farsi licenziare per avere la disoccupazione: come fanno alcuni lavoratori
Per la Cgia di Mestre molti dipendenti rinunciano a dimettersi e preferiscono farsi mandar via dall'azienda. Obiettivo: avere il sussidio Naspi
Crescono i licenziamenti e calano le dimissioni volontarie. Sono due tendenze concomitanti nel mercato del lavoro italiano che, secondo la Cgia di Mestre, storica sigla di categoria degli artigiani, c'entrano poco o niente con l'abolizione del tanto discusso articolo 18, ammorbidito dalla Riforma Fornero nel 2012 e poi rottamato dal Jobs Act nel 2015.
- LEGGI ANCHE: La disoccupazione in calo
- LEGGI ANCHE: Il lavoro occasionale e i voucher
- LEGGI ANCHE: Voucher, è caos Inps dopo l'abrogazione
Alla base di questo trend, almeno a sentire la Cgia, c'è una furbata di molti lavoratori che si fanno licenziare apposta piuttosto che dimettersi pur di incassare qualche mensilità del sussidio contro la disoccupazione. La Cgia è giunta a questa conclusione mettendo assieme due numeri. Primo: tra il 2015 e il 2016 sono cresciuti molto i licenziamenti individuali per giustificato motivo soggettivo, cioè quelli che avvengono per una ragione riconducibile alla condotta del singolo lavoratore, per esempio all'assenteismo. Nell'arco di un anno, i licenziamenti di questo tipo sono saliti di quasi 16mila unità, da 59mila ogni 12 mesi a oltre 74mila (+26%). Nello stesso periodo, invece, le dimissioni volontarie sui contratti a tempo indeterminato hanno subito una contrazione notevole (-13,5%).
Le dimissioni online
Che cosa è successo? Vista la leggera ripresa economica in atto e l’aumento dell’occupazione, per la Cgia questi numeri faticano a trovare una giustificazione razionale nelle normali dinamiche del mercato del lavoro. Per la confederazione degli artigiani di Mestre, sta succedendo appunto che oggi molte persone, piuttosto che dimettersi, aspettano che sia l'azienda a mandarli via. Va ricordato infatti che la riforma del lavoro del 2012, la legge Fornero, ha introdotto l'obbligo delle dimissioni online per chi vuole lasciare un'impresa. Se però il dipendente non dà spontaneamente le dimissioni e non si presenta più in servizio, spetta all'azienda il compito di procedere di ufficio, licenziando il lavoratore assenteista. A differenza di chi si dimette spontaneamente, però, chi viene licenziato ha diritto al sussidio contro la disoccupazione, la Naspi, che può essere erogata fino a un massimo di 24 mesi.
Danno alle imprese
E' proprio per beneficiare della Naspi che, a detta degli artigiani di Mestre, parecchi dipendenti stanno usando il trucchetto del licenziamento al posto delle dimissioni. “Questo astuto espediente, ha dichiarato Paolo Zabeo, responsabile dell'Ufficio Studi della Cgia, “sta creando un danno economico non indifferente anche alle imprese, oltre che alle casse pubbliche”. Zabeo sottolinea infatti che la Legge Fornero del 2012 ha istituto una sorta di tassa di licenziamento. Le imprese che lasciano a casa un dipendente, infatti, devono versare allo Stato un'indennità che può arrivare anche a 1.500 euro, come “compensazione” per il danno sociale provocato, avendo contribuito ad aumentare la disoccupazione. Lo Stato paga i disoccupati, insomma, e le aziende pagano lo Stato