Pensioni: così il blocco delle rivalutazioni ha inciso sugli assegni
I calcoli della Uil in attesa delle decisioni del Governo sulle modalità di rimborso richieste dalla sentenza della Corte Costituzionale
Il governo sta studiando un sistema di rimborso rateale per applicare la sentenza 37/2015 della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il blocco delle perequazioni, sulle pensioni oltre 3 volte il minimo, varato per il 2012 e 3013 con la manovra Monti-Fornero. La decisione della Consulta sulle pensioni “richiede una valutazione dettagliata sia degli aspetti giuridici sia degli impatti finanziari” ha spiegato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Secondo alcune stime il costo per lo Stato della sentenza sarebbe intorno ai 9 miliardi di euro: “Lavoriamo per avere una soluzione rispettosa dei giudici e che al tempo stesso minimizzi i costi per la finanza pubblica che innegabilmente ci sono” ha detto Padoan.
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Ma quanto ha inciso la mancata perequazione sulle tasche dei singoli pensionati, circa 5,2 milioni di italiani che sono stati toccati dal blocco delle rivalutazioni Istat? Secondo i calcoli della Uil, chi nel 2011 percepiva 1.500 euro lordi al mese di pensione, arriva nel 2015 a prendere 1.519,59 euro a fronte dei 1.606 euro che avrebbe incassato con la normativa prima dello stop dell’indicizzazione, quasi 87 euro in meno al mese che si traducono in una perdita di 1044 euro annui. La penalizzazione sale ulteriormente, in maniera esponenziale, per le pensioni più alte: chi prendeva 2.500 euro lordi al mese nel 2011 oggi ci rimette mensilmente oltre 113 euro, chi aveva una pensione di 5.000 euro subisce una perdita di 287 euro al mese, un pensionato da 10.000 euro al mese nel 2011 oggi ce ne rimette più di 725 a causa del blocco della perequazione.
La restituzione privilegerà, in prima battuta, chi percepisce le rendite pensionistiche più basse. Ma secondo i calcoli dei sindacati, si tratta comunque di una piccola parte di quanto è stato tolto al popolo dei pensionati con “una gigantesca operazione di cassa fatta a spese del sistema previdenziale italiano: circa 80 miliardi di euro di tagli nel periodo 2013-2020, come si evince dal rapporto dello studio attuariale dell’INPS” ricorda Domenico Proietti, segretario confederale Uil con la delega su fisco e previdenza.
C’è poi il tema dell’ulteriore blocco delle rivalutazioni, deciso per il 2014 dal governo Letta con modalità diverse e che potrebbe essere a sua volta dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale. Secondo la Uil, il problema è di giustizia sociale: in Italia il reddito annuo medio di un pensionato è pari a 11.695 euro, inoltre il 41,3% dei pensionati percepisce un reddito mensile sotto i 1.000 euro. “Questi dati da soli mostrano l’urgenza di agire sulle pensioni in essere recuperando la piena indicizzazione”, sostiene Proietti.
Qui alcune tabelle elaborate dalla Uil:
Ma quali sono le proposte della Uil, perequazioni a parte, per rimettere ordine nel sistema delle pensioni? “Per evitare ulteriori ingiustizie, come nel caso degli esodati, occorre ripristinare un sistema flessibile che si potrebbe ottenere attraverso la ridefinizione di quote, sommando gli anni di età e gli anni di contribuzione, o stabilendo un range, tra i 62 ed i 70 anni, nel quale il lavoratore possa scegliere quando andare in pensione”, propone Proietti. "Il sistema va pensato anche in base alle diverse tipologie di lavoro e senza ulteriori penalizzazioni oltre quelle già implicite nel sistema contributivo”. Questi temi saranno a breve sul tavolo nel confronto tra i sindacati e il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti: con la prossima legge di Stabilità, dovrebbe infatti arrivare la flessibilità in uscita, cioè la possibilità di andare in pensione prima. Con regole ancora tutte da definire nei dettagli.