Come sarà il Partito Repubblicano di Berlusconi
Un comitato elettorale a cui aggregare partiti e associazioni uniti su un programma. Il simbolo, l'elefantino del partito che fu di Lincoln e Reagan
Un nuovo spettro si aggira sulla politica italiana: il Partito Repubblicano. Non si illudano, o non si preoccupino, i (non moltissimi) eredi nostalgici di Ugo La Malfa e di Giovanni Spadolini, nessuno pensa di riesumare il piccolo ma glorioso partito risorgimentale che diede alla Repubblica statisti del calibro di Oddo Biasini e di Oronzo Reale. Si tratta invece dell’ennesima fantastica creatura che il mago di Arcore medita di lanciare per scomporre e rimettere in moto le stagnanti acque della politica italiana, che – lasciate a se stesse – si ridurranno ben presto ad una palude renziana.
Intendiamoci, nulla ancora di definito: nei sotterranei di Villa San Martino (sì, proprio quelli che nelle fantasie di qualche PM avrebbero ospitato il bunga-bunga) i pentoloni sono in ebollizione, lo stregone ha indossato i paramenti solenni, ma il processo è in corso e nessuno, forse neppure l’artefice, sa ancora che forma prenderà definitivamente la creatura.
Però noi dall’inferno abbiamo qualche dimestichezza con le cose della magia, e quindi siamo in grado di raccontare, se non le conclusioni, le cause e le caratteristiche di quello che sta avvenendo.
Con l’approvazione dell’Italicum - questo il ragionamento del Mago Berlusconi – si ripropone la situazione di vent’anni fa. Allora Occhetto, ora Renzi, hanno una legge elettorale fatta su misura (Occhetto se la trovò per l’insipienza della DC, Renzi se l’è tenacemente costruita). È una legge elettorale che gli consente di vincere senza combattere, per mancanza di avversari.
Vent’anni fa Berlusconi riuscì nel capolavoro impossibile di mettere insieme per la prima volta nella storia della Repubblica tutti i moderati di centro-destra, e di bloccare la scontata vittoria della gioiosa macchina da guerra dell’ex-PCI. Se anche Berlusconi avesse fatto solo questo nella vita, se anche il suo governo fosse stato il peggiore della storia, meriterebbe comunque che le generazioni future gli dedicassero vie, piazze e monumenti per aver salvato l’Italia dall’incipiente regime post-comunista, retto dalle baionette delle procure rosse.
Ma nulla è più lontano dall’indole di Berlusconi che pensare ai monumenti futuri. Le sue preoccupazioni sono ben altre, e più immediate. Come impedire che il suo popolo, il popolo dei moderati, di nuovo disperso e frammentato, torni ad essere marginale, e che la sinistra, sia pure nella versione riveduta e corretta di Renzi, sia il nuovo regime, morbido ma pervasivo, degli anni a venire?
Non certo con il lepenismo in felpa di Salvini. Un abile demagogo, che intercetta paure ed umori e sa trasformarli in consenso, ma che non ha né la statura, né la capacità aggregativa necessarie per vincere. Nello stesso tempo Renzi sta facendo di tutto per somigliare ai democratici di Bill Clinton o ai laburisti di Tony Blair, fino al punto di favorire una scissione dell’ala sinistra del PD. Certo, è un’imitazione un po’ comica e un po’ surreale, come quelle che faceva Alighiero Noschese dei politici della prima repubblica. Ma in mancanza di meglio alcuni moderati potrebbero accontentarsi.
Una sfida fra il sanguigno Salvini, con i suoi sogni irrealizzabili di uscita dall’Europa, e il pragmatico Renzi si concluderebbe con un trionfo di quest’ultimo. Sarebbe davvero la realizzazione del “partito della nazione”, tagliando fuori due ali di pura protesta, i Grillini e la Lega. Insomma, sarebbe il trionfo dell’immobilismo, un regimetto simile alla peggiore DC, che si reggerebbe sulla mancanza di alternative, e sull’abituale conformismo delle classi dirigenti italiane (quello che le persone colte chiamano band-wagoning, così sembra una cosa chic, e tutti gli altri “saltare sul carro del vincitore”).
Come evitare tutto questo? Costruendo quello che, per analogia con il sistema politico americano, viene chiamato Partito Repubblicano. Berlusconi pensa all’elefantino, simbolo del partito che fu di Lincoln e di Reagan, non all’edera lamalfiana. E come in America, questo elefante sarà leggero, anzi leggerissimo (Un elefante leggero in natura è una contraddizione, ma la politica italiana è il luogo nel quale le contraddizioni si risolvono. Fin dall’epoca delle convergenze parallele).
Non un nuovo partito, dunque: quelli che ci sono bastano e avanzano. Non una riedizione del Popolo della Libertà, che non ha funzionato nel passato recente. Non una coalizione di partiti, che la nuova legge non incoraggia, e che non funziona (tanto è vero che Salvini e la Meloni hanno già detto di non essere interessati. È un po’ lo stesso atteggiamento di quelli che – prevedendo di non essere invitati a una festa – fanno sapere in anticipo di avere un altro impegno).
Nei pentoloni di Arcore corre ben altro. Un comitato elettorale, con poche regole chiare, al quale possono partecipare partiti, associazioni di singoli cittadini, che si ritrovano su un programma, per quelle elezioni, e per governare il paese con alcuni obbiettivi concreti. Gli obbiettivi della rivoluzione liberale che Berlusconi non ha mai smesso di sognare. Vorreste saperne di più? Anche noi, in verità. Ma anche le capacità di divinazione dell’Inferno hanno un limite. E la fantasia di Berlusconi è più ampia dei nostri limiti.