La crisi turco-olandese e i rischi per l'Europa
L'Unione europea perde un'altra occasione per parlare con una voce sola mentre Ankara minaccia azioni legali e ritorsioni commerciali
"Non c'è differenza tra Rutte e il fascista Wilders". Questo il commento del ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, all'esito delle elezioni in Olanda. Secondo quanto riporta l'agenzia ufficiale Anadolu, Cavusoglu ha detto che "se si guarda ai social democratici o al fascista Wilders non c'è differenza, hanno la stessa mentalità".
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Quando il sindaco di Rotterdam, Ahmed Aboutakeb, musulmano e figlio di marocchini, ha vietato sabato scorso, «per motivi di ordine pubblico», il comizio che il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, avrebbe dovuto tenere in piazza nella città olandese, nessuno poteva immaginare che la crisi scoppiata tra i due Paesi avrebbe assunto i contorni di una vera dichiarazione di guerra politico-diplomatica tra Ankara e un pezzo di Europa, con contraccolpi geopolitici di breve medio periodo assolutamente imprevedibili. E con un'escalation di dichiarazioni e minacce che sta scavando un solco sempre più profondo tra Ue e Turchia. All'indomani dell'esortazione della Commissione europea al governo turco ad astenersi da dichiarazioni eccessive e da azioni che rischiano di esacerbare ulteriormente la situazione, Ankara risponde denunciando la violazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche in riferimento alla decisione del governo olandese di impedire al ministro degli Esteri turco di raggiungere Rotterdam e di bloccare il ministro della Famiglia, Fatma Betul Sayan Kaya. Non solo: in una nota la Turchia esprime la sua volontà di portare davanti all'Onu, all'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in europa (Osce) e al Consiglio d'Europa la decisione olandese di bloccare i diplomatici e i politici turchi, confiscando temporaneamente le automobili con targhe diplomatiche.
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DIVISIONI EUROPEE
E l'Europa? Alcuni Paesi, come la Danimarca e l'Austria, si sono dichiarati pronti, in solidarietà con l'Olanda, a rifiutare l'arrivo sul loro territorio degli uomini chiave del governo turco, inviati da Erdogan in mezza Europa per cercare voti sul referendum presidenzialista presso le diverse comunità turche nazionali.
Altri Paesi Ue, come la Francia, pur prendendo le distanze dai toni minacciosi del governo turco, hanno dato il permesso a Çavuşoğlu di tenere un comizio a Metz.
Altri ancora, come la Germania, dopo aver impedito il 2 marzo scorso al ministro della Giustizia turco di tenere un comizio a Gaggenau, hanno scelto di stare prudentemente alla finestra, pur avvertendo che le autorità tedesche faranno tutto il possibile «perché i conflitti interni turchi non siano esportati in Germania».
La crisi - culminata con la clamorosa duplice decisione del premier olandese Rutte di accompagnare alla frontiera il ministro della Famiglia turco e chiudere gli aereoporti al volo del ministro degli Esteri turco - ha restituito anche in questo caso l'immagine di un'Europa divisa, senza bussola, incapace di parlare con un'unica voce, con tante politiche estere potenzialmente quanti sono i Paesi Ue, persino di fronte a una questione così delicata e strategicamente importante come il rapporto con la Turchia del sultano Erdogan.
Il silenzio di Mogherini, che dovrebbe essere il ministro degli Esteri Ue, parla di più, della crisi che vive l'Europa, di qualsiasi ipotetica dichiarazione di circostanza. Che comunque è avvenuta con incomprensibile ritardo, due giorni dopo, con un invito formale alla Turchia a non esacerbare gli animi. Un po' poco per uno dei continenti locomotiva del pianeta.
LE RAGIONI INTERNE
A nessuno è sfuggita la tempistica della crisi tra l'Olanda e la Turchia. Le date chiave sono due per riuscire a inquadrare quanto avvenuto negli ultimi giorni
1) 15 marzo 2017: è la data delle elezioni legislative in Olanda, segnate dalla paura dell'avanzamento del partito euroscettico e islamofobo (Pvv) di Geert Wielder, che secondo i sondaggi (in un sistema largamente proporzionalista) potrebbe anche superare i popolari del premier Rutte. Lasciare che il centro di Rotterdam, laboratorio multietnico e tollerante del Paese, potesse essere occupato dai fan turco-olandesi del governo turco sarebbe stato interpretato come un regalo pre-elettorale all'euroscettico Wielder.
2) 16 aprile 2017: è la data del referendum confermativo sulla riforma costituzionale autoritaria e presidenzialista voluta dal presidente Erdogan. Il voto delle comunità turche sparse per tutta l'Europa è per Ankara uno dei più importanti terreni di battaglia.
Il duplice appuntamento elettorale spiega, in larga parte, l'escalation dei toni tra i due Paesi e anche la clamorosa decisione del governo olandese di dichiarare di fatto «persona indesiderata» il ministro degli Esteri della Turchia, un Paese che non ha solo il secondo esercito più numeroso dell'Alleanza atlantica ma che, meno di due anni fa, ha siglato con l'Unione europea un patto di ferro per la creazione di campi profughi sul suo territorio destinati ai profughi siriani.
GLI EFFETTI GEOPOLITICI
Chi si frega le mani, di fronte allo scoppio della crisi olando-turca, è probabilmente Vladimir Putin, che vede aprirsi nuovi spazi in Europa e in Medioriente. Il rischio di perdere il gigante del Bosforo, per la Nato, è concreto. Il negoziato per l'adesione della Turchia all'Unione europea è rinviato a chissà quando. Gli scenari evocati dalle forze populiste e i destra in un pezzo d'Europa, di fronte agli scontri avvenuti nella città olandese, sono quelli descritti da Sottomissione, il romanzo best seller di Houellebeq. L'Europa come istituzione procede a tentoni, stretta tra la necessità di non rompere definitivamente i rapporti con Ankara e quella, altrettanto forte, di evitare derive autoritarie alle porte dell'Europa sotto la guida del sultano Erdogan.
Il presidente americano Donald Trump, sospettato di giocare a dividere l'Europa più di quanto non sia divisa, tace. Mentre in Turchia, Erdogan comincia a passare all'incasso: la richiesta del principale partito di opposizione, il kemalista CHP, di interrompere i rapporti commerciali e politici con l'Olanda è il miglior biglietto da visita per Erdogan per stravincere un referendum che potrebbe cambiare definitivamente l'assetto democratico della Turchia. Dando potenzialmente il via a nuovi e pericolosi equilibri geopolitici che potrebbero trascinare tutti - Europa compresa - nel caos.