La guerra ad Aleppo e l'ignavia dell'Occidente
L'intensificazione dei bombardamenti di Assad e dei Russi sulla seconda città siriana preannuncia un disastro umanitario di vaste proporzioni
Almeno 25 morti, un centinaio di feriti, la gran parte dei quali civili. Il tragico bilancio del bombardamento effettuato dall'aviazione siriana sull'ospedale di Medici senza frontiere ad Aleppo è solo una parte della guerra che, nonostante la tregua formalmente in vigore dal 27 febbraio scorso, le truppe di Assad stanno scatenando su tutta la provincia della seconda città siriana.
Benché le informazioni che giungono alle agenzie di stampa siano ancora frammentarie, e spesso contraddittorie, le vittime dei bombardamenti su tutte le zone controllate dai ribelli, secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, sarebbero molte di più nell'ultima settimana: oltre 130, di cui 18 bambini, cui debbono aggiungersi le oltre settanta persone (tra cui 13 bambini) morte nei bombardamenti condotti dai gruppi ribelli su zone della città controllate dalle forze governative. Una mattanza che di fatto ci dice quanto sia fragile, e fasulla, la tregua negoziata due mesi orsono in Siria dai diplomatici russi e americani e sottoscritta allora da oltre un centinaio di gruppi ribelli, fatta eccezione per gli islamisti de Il Fronte Al Nusra e dello Stato islamico.
IPOCRISIE DIPLOMATICHE
Linea del fronte di una sanguinosa guerra che ha già fatto in quattro anni 250 mila vittime e milioni di sfollati, Aleppo è oggi lo specchio del disastro politico e umanitario che si sta consumando in Siria, sotto gli occhi impotenti e complici della grandi potenze, della loro insipienza e delle loro divisioni strategiche: una terra di nessuno spaccata tra la periferia occidentale della città controllata dai ribelli vicini ad Al Nusra e assediata dal regime siriano e la parte orientale di Deir Ezzor, controllata dal regime e assediata dallo Stato Islamico e da altre fazioni ribelli.
Un buco nero sotto assedio delle forze governative e dei loro alleati russi dove nemmeno scappare - e portare al sicuro la propria famiglia - è più possibile. E dove accade anche che fazioni teoricamente alleate - come i curdi dello YPG (Unità di Protezione Popolare) e i ribelli della Free Syrian Army, anch’essi sostenuti da Washington - finiscano per scontrarsi gli uni contro gli altri, in una battaglia all'ultimo sangue che si è conclusa - in questo caso - con l'esposizione pubblica dei trofei dei cadaveri dei nemici da parte dei combattenti curdi, come emerge da questo video apparso su Twitter.
#SDF #YPG partying over the bodies of 50 Syrian rebels. They take pride in their crimes. #Syria pic.twitter.com/3Rp3pV3lil
— الرقة تذبح بصمت (@Raqqa_SL) 28 aprile 2016
Tutte le strade principali di accesso e di uscita dalla città siriana sono controllate - salvo una, in mano ai ribelli - dagli uomini di Assad. L'assedio - come a Sarajevo dal 1992 al 1996 - restituisce l'immagine di un fallimento politico e diplomatico senza eguali, che però nessuno ha la forza di riconoscere, nemeno a Ginevra, dove è in corso un timido e ipocrita tentativo di rivilitarizzare la tregua fantasma del 27 febbraio.
STALLO MILITARE E STALLO POLITICO
La verità è che in Siria è in corso da anni una guerra civile che è anche una guerra per procura, dove ogni piccola e grande potenza - dai Paesi del Golfo all'Iran, dalla Turchia fino agli Stati Uniti e alla Russia - gioca una partita diversa, sempre sulla pelle del popolo siriano, fino alla deflagrazione del 2011 tra i popoli più istruiti e laici di tutta l'area. Il nodo, del resto, è politico. La guerra civile intra-siriana, di fronte a un accordo strategico tra Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita e Iran, sarebbe già cessata da anni. E lo Stato islamico - che prospera solo nel caos prodotto dalle divisioni politiche e diplomatiche dell'Occidente e dei suoi alleati mediorientali - sarebbe stato già spazzato via. O nemmeno avrebbe avuto la forza di insediarsi a Raqqa.
Per rendersi conto di quanto sta avvenendo in Siria, e non solo nella città martire di Aleppo, un tempo tra le più ricche e vivaci di tutto il Medioriente, c'è solo da contemplare questa cartina di Limes, mensile di geopolitica sempre attento alle evoluzioni politiche e militari sul terreno. Prendendo atto forse che la pace, e il nuovo Medioriente figlio del fallimento di Sykes Picot, si può costruire solo dopo che emerge un vincitore chiaro e indiscutibile sul terreno, non già sulla buona volontà del personale diplomatico.
La mappa di Limes che descrive la situazione sul terreno in Siria