La rottura dell'incantesimo di Matteo Renzi
Dietro la grande forza del M5S c'è però una scommessa al buio degli elettori. Nei ballottaggi indizi di potenzialità del centrodestra
A volte un po’ di umiltà non guasta. E non guasta neppure il senso della misura nella gestione del potere e dei suoi strumenti.
Metti per esempio il trionfo dei 5 Stelle a Roma e soprattutto, per via della sorpresa, a Torino.
Virginia Raggi e Chiara Appendino fanno pensare a Don Chisciotte in tailleur contro i mulini a vento e contro le roboanti armate di Renzi.
Hanno vinto loro, le grilline così presuntuose (ma non arroganti) nel sostenere idee spesso strampalate ma con i toni giusti, e grazie a un’apparenza di umiltà, povertà e “onestà onestà”.
Come invasati monaci post-moderni, sovente al limite dell’invisibilità mediatica e al netto degli attacchi (basti pensare agli sms a raffica di Roberto Giachetti sulle presunte consulenze della Raggi ex consigliera comunale). Più li attacchi, gli stellati, più loro giganteggiano (come a suo tempo Silvio Berlusconi, uno contro tutti).
Nessuno sa con precisione quale sia il programma capitolino della Raggi.
Nei bar all’ombra del Cupolone è tutto uno sfottere i grillini sulle funivie che dovrebbero far decollare (letteralmente) la viabilità romana. Ma a sfottere sono proprio quelli che l’hanno votata.
In pochi credono che le piste ciclabili siano la soluzione. Tanti vorrebbero le Olimpiadi, mentre i 5 Stelle sono freddini sui Giochi a Roma. Eppure, il contagioso entusiasmo rivoluzionario di Virginia e della sua Chiara “gemella” torinese, brilla di colore vivo rispetto alla cera depressa, da sciopero della fame, di Giachetti, eroe mancato di un Pd sabotato dalla gestione Marino, coinvolto in Mafia capitale e votato al disastro.
Matteo Renzi ha ammesso la sconfitta. Poteva fare diversamente?
Eppure, l’ammissione non arriva al punto di mettere in dubbio la propria leadership o premiership (non basata, ricordiamolo, sul voto popolare ma su manovre interne ai democratici), e anche qui, non poteva essere diversamente.
Il referendum d’ottobre sulla riforma istituzionale, madre di tutte le battaglie del renzismo rottamante, rischia adesso di far naufragare i crociati di Renzi in una palude di “no” pronunciati di petto dalle voci più disparate: grillini, centrodestra, Lega, sinistra radicale…
Da qualche anno ormai è chiara a tutti l’ascesa irresistibile del Movimento 5 Stelle, del quale si sa che è nuovo, radicale nella sua opposizione, rivoluzionario negli accenti e nei capricci (per esempio nel decidere se, come, quando e con chi apparire in televisione).
Il suo trionfo è indipendente perfino dalla copertura mediatica: i 5 Stelle vanno bene sia quando appaiono sia quando si tengono nascosti. Sia quando parlano sia quando stanno zitti. Quando la sparano grossa e quando indossano il mantello dell’invisibilità televisiva.
Scommessa la buio
Dietro la brillantezza del Movimento e dei suoi uomini (e donne) però c’è il vuoto che avvolge la proposta. La scommessa degli elettori è al buio.
Bluff o non bluff, è arrivato il momento, per i seguaci della setta di Beppe cresciuta nell’humus dei social, di mostrarsi nella plancia di comando, al timone della politica finora sbeffeggiata e smontata.
Continueranno, certo, a pretendere di essere rivoluzionari anche nei nuovi ruoli di responsabilità, a dispetto dell’attività istituzionale. Continueranno a stupirci e al dunque saranno giudicati più per i danni che saranno riusciti a non produrre, che per le soluzioni escogitate e messe in pratica.
La fine dell'incantesimo
Il risultato più evidente di queste amministrative non è quasi neanche il trionfo scontato dei 5 Stelle, ma la rottura dell’incantesimo renziano, la fine di quella magia che vedeva Matteo vincente, inaffondabile in virtù della pochezza dei suoi avversari, con un centrodestra privato del suo leader naturale per via giudiziaria, e una sinistra mummificata.
La potenzialità del centrodestra
L’elemento che pochi notano ma che sta là, dietro questi risultati - anche dietro l’affermazione della Raggi a Roma, dietro il buon bottino di Parisi a Milano, dietro la vittoria di Dipiazza a Trieste e il ballottaggio a Napoli tra De Magistris e Lettieri del centrodestra, e poi a Grosseto, a Olbia, in altre città dove hanno vinto Sindaci “azzurri”, perfino a Bologna con la leghista Borgonzoni sostenuta dai moderati - l’elemento senza nome è la persistente potenzialità del centrodestra, l’aspirazione del suo elettorato a ritrovarsi attorno a un progetto credibile che al momento non c’è, ma che ha un suo mercato.
Specialmente tra i numerosi sottoscrittori del partito più vasto: il partito di chi non ha votato. Il più invisibile, quello decisivo.