Chi è Muhammadu Buhari, il nuovo presidente della Nigeria
Ex generale, musulmano, è riuscito a vincere le elezioni presidenziali. La prima sfida che lo attende è la minaccia di Boko Haram
di Marta Pranzetti per Lookout news
Con uno scarto di nove punti percentuali (54,5% contro 45,5%) la Nigeria saluta il suo nuovo presidente. L’uscente Goodluck Jonathanè stato scavalcato dal suo rivale Muhammadu Buhari, che ha potuto contare soprattutto sui voti ottenuti negli stati di Kano e Kaduna, nel nord a maggioranza musulmano. Al conteggio finale dei voti, Buhari ha ottenuto 15,4 milioni di voti contro i 13,3 milioni di Jonathan. Sebbene quest’ultimo abbia ottenuto preferenze quasi plebiscitarie negli stati meridionali del Delta del Niger, forte dei consensi della maggioranza cristiana, ciò non è stato sufficiente a garantirgli la rielezione. La legge elettorale prevede infatti che i candidati per vincere debbano ottenere più del 50% dei voti su scala nazionale e almeno il 25% nei due terzi dei 36 Stati nigeriani.
Si tratta della prima volta nella storia del Paese che l’opposizione batte il partito di governo. Finisce così l’era al potere del People’s Democratic Party (PDP), in carica ininterrottamente dal 1999. Queste elezioni sono state una importante lezione di democrazia per una Nigeria afflitta da tensioni settarie, corruzione endemica e dalla piaga del terrorismo di matrice islamista di Boko Haram. Alla comunicazione da parte della Commissione elettorale dei risultati ufficiali, il 31 marzo, l’ufficio politico dell’All Progressive Congress (APC) del vincitore Buhari ha ricevuto anche le congratulazioni di Jonathan, un segno che lascia ben sperare sull’evoluzione del clima post-elettorale. Le ultime elezioni del 2011, d’altronde, hanno lasciato un segno indelebile con i picchi di violenza senza precedenti.
Il profilo del nuovo presidente
Al suo quarto tentativo di aggiudicarsi la presidenza, Muhammadu Buhari è riuscito ad avere la meglio. Dopo aver perso alle elezioni del 2003 (contro il generale Olusegun Obasanjo), del 2007 (contro Umaru Yar’Adua) e del 2011 (contro Goodluck Jonathan), ha alla fine ottenuto l’agognato mandato presidenziale. A fare la differenza è stata sicuramente la compattezza dell’opposizione, riunita attorno all’APC, coalizione che riunisce le quattro maggiori forze di minoranza, vale a dire l’Action Congress of Nigeria, il Congress for Progressive Change, l’All Nigeria Peoples Party e l’All Progressives Grand Alliance.
A suo favore hanno valso, però, anche le scelte strategiche di Buhari in fase di campagna elettorale. L’annuncio che in caso di vittoria il vicepresidente sarebbe stato Yemi Osinbajo – un cristiano evangelista del sud, membro dell’APC di etnia yoruba e con una ricca carriera politica alle spalle – ha contribuito a equilibrare la sua candidatura di fronte all’uscente Jonathan. Inoltre, Buhari ha saputo sfruttare sue vecchie conoscenze coinvolgendo indirettamente nella sua ultima campagna l’ex presidente Olusegun Obasanjo, che a parte essere stato suo rivale alle presidenziali del 2003 è ancor di più fortemente in contrasto con Jonathan dopo essersi ritirato dal PDP lo scorso febbraio. Con Obasanjo, Buhari ha in comune un passato ai vertici militari. Inoltre, proprio sotto la presidenza di Obasanjo alla fine degli anni Settanta, Buhari era stato nominato ministro del Petrolio e delle Risorse Naturali, incarico che aveva ulteriormente rafforzato i rapporti tra i due.
Originario dello stato settentrionale di Katsina al confine con il Ciad, Buhari è stato tra gli autori del colpo di Stato del 1966 portato avanti dal colonnello Murtala Muhammed contro il regime di Aguiyi Ironsi. A distanza di due decenni ha poi preso il potere per un breve interregno militare (1983-1985), defenestrando il presidente Shehu Shagari eletto nel 1979. I suoi venti mesi al governo vengono ancora ricordati per i numerosi arresti condotti contro oppositori politici e attivisti, nonché per il “caso Dikko” (Umaru Dikko, ministro del governo rovesciato in esilio a Londra, rapito da agenti segreti nigeriani) che comportò un incidente diplomatico con la Gran Bretagna.
Quanto alla sua politica interna, ha fatto scalpore nel 2011 la sua dichiarazione a favore dell’imposizione della Sharia. Posizione che nel gennaio del 2015 ha smussato difendendo la libertà di culto. Sebbene la sua vittoria rappresenti un passo importante per il cammino democratico nigeriano, i metodi repressivi per cui viene ricordato il suo periodo al potere negli anni Ottanta (non solo contro oppositori e attivisti ma anche contro l’indisciplina e la corruzione) lasciano non pochi dubbi sul futuro del Paese.
Capitolo a parte è la minaccia di Boko Haram, che Buhari ha promesso di eliminare nel giro di pochi mesi una volta eletto. Dopo un tentato attentato perpetrato nei suoi confronti nel luglio del 2014 a Kaduna, Buhari ha rifiutato ogni forma di dialogo con il gruppo estremista. La sua fama di spietato generale potrebbe dunque tornargli utile adesso e rivelarsi efficace nella lotta contro i miliziani islamisti.